Anche fuori dai confini iraniani trova spazio la protesta scoppiata sabato scorso dopo l’uccisione della 22enne Mahsa Amini da parte della polizia. Ieri a Roma erano circa in 300, tantissime donne e NonUnaDiMeno, a manifestare davanti all’ambasciata dell’Iran, al grido di «Donna, vita, libertà».

Lo stesso dal carcere turco di massima sicurezza di Edirne: l’ex co-leader dell’Hdp, il partito della sinistra turca e curda, Selahattin Demirtas, si è rasato in solidarietà con le iraniane e gli iraniani che da sette giorni scendono in strada in cento città del paese, 30 province su 31, mentre ad Ankara e Istanbul era la polizia turca a disperdere con la forza le manifestazioni pro-rivolta.

Numeri certi dall’Iran non ne arrivano, internet è oggetto di blackout governativi continui: la tv di Stato ieri parlava di 26 morti, i manifestanti di almeno 50. Migliaia gli arresti, molti attivisti sono stati prelevati di notte dalle loro case.

Qualche immagine trapela: agenti anti-sommossa respinti dalla folla, donne che manifestano o semplicemente girano in strada senza velo, camionette e manifesti con il volto del fondatore della Repubblica islamica, Khomeini, dati alle fiamme.

Dopo le parole di giovedì del presidente iraniano Raisi all’Assemblea generale Onu («gli atti di caos sono inaccettabili», ha detto, aggiungendo di aver ordinato l’apertura di un’inchiesta sulla morte di Amini e accusando «i doppi standard» occidentali in merito alle violenze di polizia, a partire da quella Usa), ieri in Iran la tensione si è alzata ancora.

Prima le marce organizzate in diverse città da migliaia di sostenitori del governo che hanno chiesto la pena di morte per i «rivoltosi». Poi l’esercito che con un comunicato si è detto pronto ad «affrontare i nemici» sobillati da attori esterni «per indebolire il regime islamico». Una minaccia seria che potrebbe preludere a un intervento dei militari contro le mobilitazioni.

Da parte loro gli Stati uniti reagiscono al solito modo, aumentando il carico di sanzioni: colpiti funzionari della sicurezza, tra cui il capo della polizia morale e il ministro dell’intelligence. Stavolta non l’economia iraniana, già soffocata da decenni di embargo e isolamento che hanno avuto un unico effetto: impoverire la popolazione.