Con la vittoria della guerra di liberazione contro il colonialismo francese, nel ’62 l’Algeria conquista l’indipendenza ma si trova costretta non solo dentro un regime a partito unico, ma anche dentro una identità unica, arabo-musulmana, che cancella la pluralità culturale, linguistica e religiosa che si era sedimentata nella storia del paese. Macroscopica la negazione di cui diventa vittima sul piano linguistico e culturale la consistente minoranza berbera, concentrata in particolare nella regione della Cabilia.

NELLA MUSICA moderna algerina successiva all’indipendenza, la minoranza berbera si è distinta con un importante filone di canzone impegnata: cantanti-intellettuali come Idir, Ait Menguellet, Fehrat, Lounès Matoub: se Idir ha raggiunto una significativa affermazione a livello internazionale, Menguellet e Fehrat hanno pagato anche con la prigione la loro difesa della identità e della cultura berbera, e Matoub è stato assassinato durante la guerra civile algerina degli anni novanta in circostanze rimaste non chiare. La canzone kabyle non ha lasciato indifferenti anche tanti algerini non berberi, e ha preparato il terreno alla sensibilità democratica e laica che ha animato le manifestazioni di massa in Algeria in questi ultimi anni.
Ma la minoranza berbera non si è espressa solo con la canzone impegnata. Fondato nel 1967 a Parigi da due giovani algerini, Shamy El Baz e Karim Abdenour, che sfuggivano alla repressione nei confronti dei berberi iniziata con l’indipendenza nel ’62, Les Abranis sono stati per esempio un gruppo pionieristico del rock in Algeria: del quale l’etichetta svizzera Bongo Joe ricorda l’importanza con una antologia da poco pubblicata, Amazigh Freedom Rock 1973-1983. All’epoca della nascita di Les Abranis – il nome richiama quello di una delle più antiche branche della popolazione berbera in Algeria – l’immigrazione berbero-algerina in Francia ha già un lunga storia.

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L’arte dei poeti cantori AmazighE PROPRIO attraverso la capitale francese Les Abranis entrano in contatto con altre comunità e musiche del Maghreb, che influenzano la loro miscela di rock e di ritmi, melodie, stili vocali berberi. Nel ’73 Les Abranis caricano di strumenti e amplificatori un camion, e da Challes, nella regione parigina, partono per Algeri per partecipare al Premier Festival de la Chanson Moderne Algérienne, destinato ad essere una celebrazione della cultura algerina e trasmesso dalla televisione. Un contesto piuttosto istituzionale nel quale il mix di musica berbera e rock e l’abbigliamento beat di Les Abranis già fanno un effetto provocatorio: come se non bastasse Les Abranis hanno l’audacia di cantare in kabil, e al termine del terzo brano la loro esibizione viene interrotta senza tanti complimenti. Ma la loro apparizione ha fatto sensazione, e al loro rientro a Parigi Les Abranis trovano l’interesse delle etichette maghrebine in Francia, che producono i loro primi 45 giri. Nel ‘75 effettuano la loro prima tournée ufficiale in Algeria: ma il primo concerto previsto in una località della Cabilia viene vietato, ne nascono proteste e incidenti tra popolazione e polizia, e infine il divieto viene tolto e Les Abranis si esibiscono davanti a migliaia di persone.

APERTAMENTE sostenitori della causa berbera, fra anni settanta e ottanta torneranno in Algeria varie volte, sempre incontrando sia successo che noie. Intanto Les Abranis si allontanano via via dal rock psichedelico delle origini, da un lato aggiornando le loro influenze col jazz-rock, il funk e la disco, e dall’altro elaborando in maniera sempre più libera il loro bagaglio musicale berbero. Molti dei brani della raccolta sono tratti da un album di Les Abranis dell’83, che rappresenta il culmine del tentativo del gruppo di creare una moderna musica algerina con il respiro di quella che qualche anno dopo sarebbe stata chiamata world music: il disco, che pure conobbe poi un significativo successo, non trovò inizialmente interesse per una pubblicazione, e fu prodotto dagli stessi Les Abranis. Che continuarono a fare musica e tournée per tutti gli anni ottanta, ma che poi nei novanta decisero di fermarsi: negli anni ottanta sulla scena algerina aveva fatto irruzione il pop-raï, e per la musica berbera, surclassata sia in termini di innovazione musicale che di propugnazione della laicità e della libertà dalla nuova musica che spopolava tra i giovani, tutta una gloriosa stagione si stava ormai esaurendo.