Mancava solo la firma di Yoweri Museveni sulla “Legge anti-omosessualità 2023” (sic) promulgata lo scorso marzo dal parlamento ugandese. Una pura formalità, visto che l’anziano presidente non ha mai nascosto le sue convinzioni profondamente omofobe, né lesinato il suo appoggio al provvedimento. Inutili gli allarmi lanciati dai gruppi che si occupano di diritti umani e dalla comunità Lgbtq+, a vuoto gli appelli Onu, Usa e Ue.

Da oggi il reato di atti omosessuali può costare il carcere fino all’ergastolo, mentre non si esclude la pena di morte per abusi su minori o persone disabili, incesto e atti sessuali da parte di sieropositivi. Inizialmente la nuova legge criminalizzava le minoranze sessuali in quanto tali, prevedeva cioè l’arresto anche per la semplice identificazione come gay. Museveni, bontà sua, ha suggerito un emendamento che ammorbidisse questo aspetto. Ma l’impianto del disegno di legge approvato in prima lettura resta intatto, compreso l’obbligo per tutti i cittadini di denunciare atti o abusi “omosessuali” di cui fossero a conoscenza. E resta il divieto per ogni forma di “propaganda” gay.

Nel 2014 un’analoga legge passata in parlamento e firmata dallo stesso Museveni, che regna incontrastato sul paese africano dal lontano 1986, era stata bloccata dalla Corte suprema mentre lo sdegno internazionale e gli annunci di sospensione di aiuti e cooperazione crescevano di pari passo. Anche la nuova legge potrà essere impugnata in tribunale.