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Lega pacifista per tre ore. Poi arriva la retromarcia

Lega pacifista per tre ore. Poi arriva la retromarciaIl capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo

Ucraina «Italiani stanchi del sostegno militare»: poi il testo dell'odg del capogruppo Romeo cambia. Sì del Senato al nuovo invio di armi a Kiev: 113 sì e 18 no. Il Pd vota col governo, contrari 5S e rossoverdi

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 25 gennaio 2024

Matteo Salvini folgorato sulla via della pace in Ucraina? O su quella già sperimentata dell’amicizia con Vladimir Putin? Fatto sta che ieri, durante il voto in Senato sul decreto di fine dicembre che autorizza l’invio di armi a Kiev per tutto il 2024, l’ordine del giorno del capogruppo leghista Massimiliano Romeo è stato il vero protagonista.

Nel testo, che poi è stato drasticamente cambiato dopo una serie di contatti tra Meloni e Salvini, si invitava il governo a una «concreta e tempestiva iniziativa diplomatica per una rapida soluzione del conflitto». Concetto che è rimasto anche nel testo finale, mentre sono state cancellate le premesse che descrivevano l’impossibilità di una vittoria militare dell’Ucraina, il progressivo disimpegno degli Usa (in particolare nel caso di una vittoria di Trump a novembre) e la stanchezza dell’opinione pubblica italiana che «non supporta più pienamente gli aiuti militari all’esercito ucraino». Insomma, il concetto espresso dal capogruppo salviniano è che le armi e le sanzioni non hanno fiaccato Mosca e che la «controffensiva ucraina non ha dato i risultati attesi». E che dunque ora bisogna cambiare strada.

Non c’era un esplicito riferimento allo stop all’invio di armi, ma il concetto si avvicinava molto, tanto che il M5S si era detto disponibile a sottoscrivere e votare l’odg di Romeo. Che però è stato modificato e poi messo al voto in Senato, ottenendo 110 sì, compresi quelli del Pd (mentre i 5s non hanno partecipato al voto). «Un odg scritto in cirillico», l’attacco di Enrico Borghi di Italia Viva, pronti a ricordare i rapporti di Salvini con Mosca e ad accusare i partiti di governo: «Stanno facendo dei giochini tirando in ballo la politica estera, sull’Ucraina la maggioranza non esiste più».

Anche il dem Alessandro Alfieri ha criticato la «posizione ondivaga della maggioranza». «La Lega lo fa per lucrare qualche voto? La politica estera non è terreno per strumentalizzazioni da campagna elettorale». «La Lega ha fatto un vero e proprio giro della morte. Prima si dissocia dalla linea bellicista, poi gli uomini di Salvini sono stati rimessi in riga», l’accusa del 5s Patuanelli. «È una posizione mia, non tirate in ballo Salvini», si è difeso in aula Romeo. «La mia idea è stata travisata per minare la coesione della maggioranza, sarebbe folle smettere di sostenere la resistenza ucraina».

Nel merito però il leghista sottolinea la necessità di un «negoziato»: «La politica deve tornare a essere protagonista, da cristiano penso che i conflitti si risolvano con la politica». Un colpo al cerchio e uno alla botte, ma il “pizzino” alla premier è arrivato.

Nel voto finale sull’invio di armi si registra il rientro nei ranghi del Pd, che vota a favore del decreto del governo. «Noi sempre coerenti nel supporto a Kiev, l’Italia non può essere il ventre molle dell’occidente, non possono esserci scuse per far venire meno il nostro sostegno», ha detto Alfieri. «Meloni e Salvini saranno disposti a chiedere al loro amico Orban di togliere il veto al pacchetto di aiuti da 50 miliardi a Kiev e ad impegnarsi per una difesa comune Ue?».

Netto il no di Sinistra-verdi e M5S, che hanno denunciato il fallimento della strategia militare e hanno ribadito con Peppe de Cristofaro la richiesta di «interrompere l’invio di armi» per reclamare l’avvio di un «vero negoziato di pace». «Perché ripetere comportamenti che fino ad oggi non hanno funzionato come si sperava?», gli ha fatto eco Bruno Marton dei 5s. Alla fine il decreto armi è passato con 113 sì e 18 contrari. Con le opposizioni ancora divise, come avviene ormai da tempo, e la maggioranza che registra le prime crepe.

Altro round alla Camera sul Medio Oriente. Nicola Fratoianni ha interrogato Meloni al question time: la premier ha espresso il suo disaccordo con le frasi di Netanyahu sul no a uno stato palestinese, il leader di Si l’ha incalzata, chiedendo un cambio di passo: «I vostri appelli non bastano, il governo italiano deve fare di più per non essere complice dello sterminio a Gaza». Tra le richieste anche il riconoscimento dello Stato di Palestina. Tema su cui il Pd presenterà una mozione a fine mese. Ieri Schlein ne ha discusso con la segreteria dem. «Chiederemo il cessate il fuoco e al governo italiano il riconoscimento della Palestina in modo inequivocabile», ha detto la segretaria.

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