L’ecosistema ghiacciaio
In alta quota Parte oggi, dai piedi del Monte Bianco, la Carovana di Legambiente, un’opportunità per comprendere lo stato di salute o di perversione del sistema produttivo ed economico, dei nostri stili di vita, del futuro che ci aspetta
In alta quota Parte oggi, dai piedi del Monte Bianco, la Carovana di Legambiente, un’opportunità per comprendere lo stato di salute o di perversione del sistema produttivo ed economico, dei nostri stili di vita, del futuro che ci aspetta
Come un organismo vivente, il fiume di ghiaccio nasce, cresce, deperisce e muore: al punto che si può scorgere qualcosa di osceno nel corpo spogliato di un ghiacciaio, una nudità cadaverica. Dopo la scomparsa servono anni perché sul letto di pietra spunti un fiore, e tra l’ultima candida zolla e la prima parvenza di verde si consuma un lungo calvario di consunzione: la neve fonde, l’acqua cola in rivoli terrosi, le rocce franano a valle; restano il pietrame, la sabbia, il deserto. A morte avvenuta, dal letto vuoto sale il tanfo di un corpo putrefatto, che si nutriva di freddo e soffriva di calore.
QUEST’ANNO ne sono morti tanti, sulle Alpi e altrove; hanno ricevuto il colpo di grazia. Mentre la Marmolada perdeva la testa, cioè la calotta di ghiaccio, sull’arco alpino sparivano gli ultimi nevai “perenni”, che tali non sono, i ghiacciai sotto i 3.500 metri smagrivano fino al punto di non ritorno e fondevano a vista d’occhio anche gli altri, i più grandi e famosi. Quelli delle cartoline. Guardate le immagini della Mer de Glace: è un mare di ghiaia. Osservate il Cervino: un blocco di pietra. Sulle Alpi le temperature stanno crescendo a velocità doppia rispetto alla media: a fine luglio lo zero termico era a 5.184 metri, molto più in alto della cima più alta. Il nuovo paesaggio alpino d’alta quota ricorda una folla di corpi spogliati e nudi. Anche gli ultimi avamposti dello sci estivo – Plateau Rosa e lo Stelvio – hanno dovuto cedere alle frustate del riscaldamento climatico, che ha spazzato le illusioni moderniste di quarant’anni fa e il sogno della neve di Ferragosto. Il Livrio scongelato segna la fine di un’epoca smodatamente ottimista e contronatura.
E POI C’È L’ACQUA, fonte di ogni esistenza. Tra alluvioni e siccità, ce n’è sempre troppa o troppo poca. Alla fine della piccola età glaciale, verso la metà dell’Ottocento, lo storico parigino Jules Michelet scriveva che «le Alpi sono il serbatoio dell’Europa e il teatro delle alte relazioni che intercorrono fra correnti atmosferiche, venti, vapori e nuvole… Li accomunano sotto forma di ghiacciai e li distribuiscono equamente fra le nazioni».
L’immagine non è retorica, perché la neve e il ghiaccio hanno realmente il potere di immagazzinare l’acqua d’inverno e restituirla gradualmente tra la primavera e l’estate, alimentando torrenti e fiumi, ma anche fontane, acquedotti e campagne, dissetandoci con giudizio e proteggendoci dalle inondazioni e dagli sprechi.
Dai tempi di Michelet i serbatoi idrici d’alta quota si sono ridotti almeno del cinquanta per cento, con botte pesantissime nel 2003 e nel 2022, ma finché l’acqua delle montagne ha continuato a dissetare le città, a illuminare le case e perfino a innevare artificialmente le piste di sci, nessuno s’è posto il problema che un giorno potesse scarseggiare o addirittura mancare, ed è l’altra faccia di quest’estate anomala, che purtroppo non lo è più. Il caldo eccezionale registrato tra la fine di maggio e i primi di agosto s’è “posato” su una montagna già quasi secca a tarda primavera, quando i serbatoi avrebbero dovuto essere colmi.
DUNQUE IL GHIACCIAIO non è solo un bello spettacolo romantico o l’ultima frontiera per il consumismo della montagna. Il ghiacciaio è anche altro, ed è di più. È l’ecosistema che registra con maggiore precisione e con sorprendente anticipo i cambiamenti del clima e il destino della vita. La scomparsa dei ghiacciai non è semplicemente un problema estetico, è la lente puntata sul futuro. La Carovana dei ghiacciai di Legambiente, che partirà oggi dai piedi del Monte Bianco, non è una processione nostalgica e nemmeno un corteo funebre, come ne sono stati fatti in Islanda dopo la scomparsa dei ghiacciai. La Carovana di fine estate è una delle attuali opportunità – e tra le più sconvolgenti – per comprendere lo stato di salute o di perversione del sistema produttivo ed economico, dei nostri stili di vita, dell’avvenire che ci aspetta. Le specie vegetali e animali stanno già reagendo colonizzando le fasce di terreno liberate dal ghiaccio, ma l’uomo che dovrebbe essere una delle specie più adattabili, e lo ha dimostrato nei millenni abitando terre e latitudini estreme, non è affatto pronto a cambiare. Il sistema capitalistico non lo è.
Si partirà dal più himalayano tra i ghiacciai meridionali delle Alpi italiane, il Miage, un fiume gelato che scende a sfiorare i prati della Val Veny e un tempo la riempiva. Oggi il fiume è grigio perché il ghiacciaio è coperto da uno spesso strato di rocce e detriti, come un gigantesco dinosauro imbalsamato. Oggi si cammina sui sassi ma sotto c’è la storia delle montagne e c’è anche la nostra storia, fissata negli strati sovrapposti del ghiaccio. Ogni tanto il ghiacciaio restituisce dei brandelli di ciò che siamo stati e di come siamo diventati, dalla stoffa dei pionieri alla plastica dei conquistatori.
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