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L’economia europea sempre più “a mano armata”

L’economia europea sempre più “a mano armata”

Economia e guerra Negli ultimi dieci anni – ben prima della guerra in Ucraina - le spese militari dei paesi Nato membri dell’Unione Europea sono aumentate di quasi il 50%. Un ebook di Sbilanciamoci! e Greenpeace analizza la spesa militare e l'industria delle armi in Europa e in Italia

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 1 maggio 2024

L’Europa e l’Italia sono sempre più coinvolti nei conflitti militari e hanno preso la strada dell’aumento della spesa per armamenti e della militarizzazione. Negli ultimi dieci anni – ben prima della guerra in Ucraina – le spese militari dei paesi Nato membri dell’Unione Europea sono aumentate di quasi il 50%, passando da 145 miliardi di euro nel 2014 a una previsione di bilancio di 215 miliardi nel 2023 (calcolata a prezzi costanti 2015, dati Nato). Si tratta di un importo superiore al Pil annuale del Portogallo. Con la guerra in Ucraina, le spese militari per il 2023 dovrebbero aumentare di quasi il 10% in termini reali rispetto all’anno precedente.

Nel complesso, i paesi Nato dell’Ue spendono l’1,8% del loro Pil per le forze armate, avvicinandosi all’obiettivo del 2%. In un decennio, l’Italia ha aumentato la spesa militare reale del 26%.

In tutti i paesi l’aumento è interamente dovuto all’acquisizione di armi ed equipaggiamenti; nel 2023 la spesa per gli armamenti nei paesi Ue della Nato ha raggiunto i 64,6 miliardi di euro (+168% nel decennio); la Germania ha triplicato la spesa, raggiungendo i 13 miliardi di euro; l’Italia ha raggiunto i 5,9 miliardi; la Spagna i 4,3 miliardi.

Le importazioni di armi dell’Ue (in base ai dati del Sipri) hanno subito un’impennata e sono triplicate tra il 2018 e il 2022; la metà di tutte le importazioni proviene dagli Stati Uniti.

L’Ue si è allineata a questa spinta verso la militarizzazione: ha istituito il Fondo europeo per la difesa, dotato di 7,9 miliardi di euro per la ricerca e la produzione di nuovi armamenti per il periodo 2021-2027, e il Fondo europeo per la pace, con 12 miliardi di euro nello stesso arco temporale per aiuti e forniture militari per paesi non appartenenti all’Unione.

Ma il dato che colpisce di più per il nostro paese è il confronto tra la spesa militare e le variabili economiche. Nell’insieme del decennio 2013-2023, la spesa militare è cresciuta del 26% in termini reali, mentre il Pil cresceva del 9%, l’occupazione del 4%, la spesa pubblica totale del 13%, la spesa per la salute dell’11% e quella per l’istruzione di appena il 3%. La priorità per le risorse pubbliche è stata il sistema militare anziché la spesa sociale.

Per documentare queste politiche di riarmo e le loro conseguenze Sbilanciamoci! e Greenpeace hanno realizzato l’ebook “Economia a mano armata 2024. Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia” che si può scaricare dal 2 maggio sul sito Sbilanciamoci.info.

L’ebook ha la prefazione di Carlo Rovelli e inizia con un quadro delle politiche della guerra e della pace offerto da Giulio Marcon e Francesco Strazzari.

Una parte rilevante dell’ebook è dedicata alla traduzione italiana del Rapporto di Greenpeace “L’Europa delle armi. La spesa militare e i suoi effetti economici in Germania, Italia e Spagna”, pubblicato in inglese nei mesi scorsi, da cui sono tratti i dati sopra riportati. Lo studio analizza la crescita della spesa militare in Europa nel quadro dell’andamento delle economie, mettendo a confronto gli effetti su crescita e occupazione della spesa per armi e della spesa sociale e ambientale. I risultati mostrano che spendere per le armi è un “cattivo affare” – anche solo in termini puramente economici – rispetto a investire in campi civili.

L’intreccio tra spese militari e industria delle armi è analizzato da Francesco Vignarca, responsabile della Rete italiana per la pace e il disarmo. Raul Caruso esamina la questione dell’integrazione europea nella spesa militare. Sofia Basso, che ha coordinato il lavoro per l’ebook, presenta un quadro delle missioni militari all’estero che hanno l’obiettivo di proteggere le fonti energetiche nei paesi in conflitto. Un contributo importante è quello di Gianni Alioti che presenta la struttura del settore, la classifica delle maggiori imprese delle armi – da Leonardo a Fincantieri -, la gerarchia esistente tra i produttori, la scala multinazionale delle attività, la dimensione finanziaria che diventa sempre più importante, i dati sull’occupazione. Un approfondimento sul caso del nuovo caccia Tempest, un’inconsueta co-produzione internazionale che coinvolge l’Italia, è offerto da Guglielmo Ragozzino, mentre Giorgio Beretta presenta il quadro delle esportazioni italiane di armamenti, mostrando le responsabilità del nostro paese nei conflitti in corso.

I contributi del volume documentano come la maggior spesa militare non porti a una maggior sicurezza ma al contrario conduca l’Italia e l’Europa lungo una traiettoria di minore prosperità economica, minore creazione di posti di lavoro e peggiore qualità dello sviluppo. Le alternative – maggiori spese per l’ambiente, l’istruzione e la sanità – avrebbero effetti economici più positivi sulla produzione e sull’occupazione, e contribuirebbero ad affrontare i problemi sociali e ambientali che abbiamo di fronte.

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