La pesca a strascico esercita un impatto così devastante sui fondali marini da essere paragonato al taglio a raso delle foreste. Lo studioso Daniel Pauly l’ha definita una tecnologia risalente al medioevo di cui disfarsi per i suoi altissimi costi ambientali. L’unica soluzione, a detta degli esperti, è quella delle chiusure permanenti alla pesca più invasiva.

Una strada che in realtà è stata percorsa dal legislatore ma che purtroppo è rimasta il più delle volte solo su carta. A confermarlo arriva un dossier di MedReAct, che approfondisce nel dettaglio alcune misure che hanno l’obiettivo di tutelare il nostro mare e preservarne la ricchezza ma che di fatto, nella maggior parte dei casi, non sono state applicate nel modo corretto o sono state addirittura ignorate.

L’Italia, infatti, pur avendo istituito una rete di aree protette, ne ha spesso trascurato la gestione. Una mancanza che ha portato la parte più ingorda dell’industria della pesca alla reiterata violazione delle norme. Parliamo soprattutto delle Zone di Tutela Biologica (ZTB) e dei siti Natura 2000. Le prime, una rete di 26 aree, sono state introdotte dall’Italia fin dagli anni ‘70 per tutelare habitat fondamentali per la conservazione e il recupero degli stock ma sono state utilizzate spesso solo per eludere impegni presi a livello comunitario.

Il dossier di MedReAct, oltre ad analizzare nel dettaglio ognuna di queste ZTB fa riferimento a uno studio del Cnr pubblicato nel 2019 che rivela diffuse attività di pesca illegale che rendono queste misure sostanzialmente inefficaci.

Delle 12 ZTB analizzate nello studio, ben 11 sono risultate soggette a strascico illegale da parte di 217 pescherecci sul 72.4% della superficie delle aree. I siti Natura 2000, che fanno parte della Rete Natura 2000, il principale strumento dell’Ue per la conservazione della biodiversità, sono stati addirittura rafforzati nel 2006, dal Regolamento sulla pesca mediterranea che ha introdotto il divieto di pesca a strascico al loro interno. Eppure, a 15 anni dall’entrata in vigore della norma il divieto non è ancora pienamente applicato, consentendo alla pesca a strascico di operare in aree che prevedono la massima tutela da questa pesca.

L’analisi di 184 siti Natura 2000 che rientrano nei criteri previsti per l’applicazione del divieto di strascico del Regolamento – di cui 131 in Italia, 25 in Spagna, 20 in Francia, 3 in Grecia, 3 in Slovenia e 2 in Croazia – rivela gravi casi di inadempienza e segnala un’applicazione del divieto di strascico molto parziale da parte delle autorità nazionali.

«Questo dossier – dice Domitilla Senni di MedReAct – mette per la prima volta in evidenza come nelle acque italiane del Mediterraneo le zone tutelate, nella maggior parte dei casi, lo sono solo su carta. Il bello è che non ci sarebbe da inventare niente ma solo far funzionare ciò che già esiste. Le aree protette esistono, se ben gestite possono contribuire al risanamento degli stock ittici e al futuro di una pesca più responsabile».