In Polonia, al confine con la Bielorussia, migranti africani e mediorientali continuano a morire. Risalgono al 16 febbraio le ultime 3 morti accertate: un etiope di circa 25 anni trovato nella foresta di Białowieza, poi un uomo e una donna senza documenti rinvenuti nel fiume Swisłocz.

LA POLIZIA ha aperto un’inchiesta ma per i volontari impegnati nei soccorsi dei migranti come Nina Ziółkowska di Podlasie Voluntary Humanitarian Rescue, la dinamica è chiara: «Anche se in difficoltà le persone non chiamano i soccorsi. Temono che la polizia le respingerà e allora, ci raccontano, in Bielorussia la polizia le picchierà e gli aizzerà contro i cani per costringerle verso le cosiddette ‘zone della morte’», dove nessun volontario può arrivare.
Dall’estate 2021 i decessi confermati ammontano a 39, ma i numeri riguardano solo la Polonia e secondo le ong sono sottodimensionati, avendo stimato diverse centinaia di “dispersi”. Quanto ai respingimenti, vietati dalla Convenzione di Ginevra e dal diritto europeo, la stessa polizia polacca ha confermato di aver «restituito alla linea di frontiera» oltre 50mila persone in un report citato a gennaio anche da Gazeta Wyborcza, tra i principali quotidiani polacchi. «Sicuramente alcune persone sono state contate più volte – chiarisce Ziółkowska – ma di certo in tanti continuano a cercare di entrare in Polonia, accettando un ping pong mortale».

A NOVEMBRE la Polonia ha sigillato i 186 km di frontiera con la Bielorussia tramite una barriera di pali metallici lisci alta 5,5 metri, dove è in fase di completamento l’installazione di un sistema di telecamere e sensori di movimento sull’ultimo tratto di 25 km. Il sistema, per l’attuale governo di destra guidato dal primo ministro Mateusz Morawiecki «sta funzionando. Ovviamente, ci sono meno attraversamenti- chiarisce Ziółkowska- ma ciò non significa che siano finiti. Se prima registravamo uomini, donne, bambini e anziani, ora incontriamo per lo più giovani uomini. La sola differenza sta nel fatto che troviamo più persone con le ossa rotte: si feriscono cadendo dalla barriera». Il 23 febbraio la polizia riferiva di aver prevenuto alla frontiera «1.047 tentativi illegali di attraversamento» e che l’ultimo gruppo era composto da 31 persone, di cui 16 di nazionalità afghana. Il giorno precedente gli afghani – che col ritorno dei talebani scappano per non subire violenze e ritorsioni- erano stati 26. Il 20 febbraio, di 97 stranieri intercettati, oltre agli afghani la polizia ha registrato iraniani, egiziani e iracheni. Coloro che vengono portati nei centri per migranti trascorrono mesi nel limbo della burocrazia, spesso anche esposti al rischio di essere rimpatriati, come è stato più volte denunciato dalle ong.

PER GLI UCRAINI che arrivano da sud, invece, la protezione umanitaria temporanea scatta in pochi giorni. La risposta alle due crisi da parte di Varsavia e dell’Ue è stata infatti diametralmente opposta: dallo scoppio della guerra la Polonia è diventata il principale punto di ingresso per gli ucraini, con oltre 9 milioni di arrivi secondo l’Unhcr. Di questi, 1,5 milioni ha scelto di restare ottenendo la protezione temporanea europea. Il governo offre poi servizi per alloggio, lavoro, istruzione, tutela legale e sanitaria, anche grazie ai fondi ottenuti dalle istituzioni Ue. Un approccio, dice Ziółkowska, «più umano, che vorremmo vedere anche per i non europei, lasciati morire senza che nessuno li cerchi. Noi volontari siamo esausti eppure il governo ci incolpa, ma è assurdo: sapendo quanto è rischioso, non suggeriremmo mai ai migranti di attraversare questo confine».