Le Marche acquistano case, sconsigliate ai terremotati
Post sisma Per partecipare all’assegnazione si dovrà rinunciare al contributo da 200 euro a persona. Ci guadagnano però i costruttori che si liberano di appartamenti rimasti invenduti
Post sisma Per partecipare all’assegnazione si dovrà rinunciare al contributo da 200 euro a persona. Ci guadagnano però i costruttori che si liberano di appartamenti rimasti invenduti
Il secondo inverno è ormai alle porte nel cratere del terremoto, e sono ancora quasi 6.500 le persone senza casa né casetta, mentre l’installazione delle abitazioni provvisorie procede come sempre a rilento (siamo a quota 1.200 su 3700).
Nella giornata di ieri la giunta regionale marchigiana ha annunciato in pompa magna l’acquisto di 366 appartamenti in 46 comuni (39 dentro il cratere e 7 fuori), per un importo complessivo di 60 milioni di euro: «Il più imponente piano abitativo degli ultimi quarant’anni» secondo il governatore Luca Ceriscioli.
Quella che viene presentata come una buona notizia, però, nasconde più di un’insidia e desta qualche perplessità: chi vorrà partecipare al bando per l’assegnazione di uno di questi appartamenti dovrà rinunciare al contributo di autonoma sistemazione (Cas), pari a 200 euro a persona, il doppio per over 65 e portatori di handicap. Molti sfollati denunciano che negli uffici comunali viene loro sconsigliato di partecipare al bando, dal momento che il Cas risulta essere oggettivamente più conveniente rispetto alle case che verranno messe a disposizione dalla Regione. È una questione aritmetica: una famiglia di quattro persone arriva a percepire almeno 800 euro di contributo dallo Stato, circa il doppio rispetto al prezzo medio di un affitto da queste parti, rinunciare per un appartamento, sia pure gratis, vorrebbe dire rimetterci. Non è un caso d’altra parte, che in un annuncio pubblico bandito dal Comune di Acquasanta Terme (Ascoli Piceno), la questione della perdita del contributo per l’affitto viene ribadita svariate volte, a mo’ di avviso. Documenti simili sono stati licenziati da quasi tutti i comuni del cratere.
Qui entra in gioco la politica: sulla carta la fase dell’emergenza – e l’elargizione del Cas – dovrebbe terminare il 28 febbraio dell’anno prossimo, ma già c’è chi parla di spostare in avanti il termine di qualche mese, almeno fino a giugno. D’altra parte, si starà nel bel mezzo della campagna elettorale, e togliere l’unica forma di contributo diretto ai terremotati alla vigilia del voto sarebbe un suicidio puro e semplice.
È per questo che, malgrado i toni trionfali della Regione, tra i terremotati non c’è entusiasmo per questa campagna acquisti immobiliare.
Chi sicuramente ci guadagna, però, sono i costruttori, che hanno trovato il modo di liberarsi di appartamenti rimasti invenduti: un colpo molto grosso per un settore in crisi nera da anni.
Inoltre non è per nulla chiaro il motivo in base al quale questi appartamenti siano stati acquistati a un anno dal terremoto, in aggiunta alle casette e non in loro sostituzione: dal nulla allo spreco e ai doppioni, senza soluzione di continuità. Il tutto a costi altissimi: ai 60 milioni spesi dalla Regione, infatti, andrebbe sommato il costo esorbitante delle abitazioni provvisorie, che vanno in media sui 1.753 euro al metro quadro per la loro realizzazione.
Quando la ricostruzione sarà terminata – e ci vorrà almeno un ventennio, ad essere molto ottimisti -, i 366 appartamenti acquistati dalla Regione entreranno nella disponibilità dei vari comuni che potranno utilizzarle come alloggi popolari.
E qui siamo al controsenso: la zona appenninica a cavallo tra Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo è a enorme rischio spopolamento, con il terremoto che ha accelerato un processo già in atto da prima, ma potrebbe per paradosso diventare enormemente urbanizzata, tra case popolari, ricostruzioni e casette, che, benché formalmente provvisorie, spesso e volentieri diventano «definitive». Basti pensare a quelle realizzate per il sisma del 1997, che vent’anni dopo stanno ancora lì dov’erano state messe.
È il lato distorto della medaglia dell’emergenza abitativa che in Italia attanaglia soprattutto le grandi città: in alcune zone non ci sono abbastanza posti per soddisfare tutte le richieste, in altre ci saranno più tetti che teste.
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