Le intenzioni e le rimozioni che ci bloccano
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Le analisi più interessanti in circolazione sulla guerra in Ucraina si trovano in buona parte sulla rivista di Lucio Caracciolo, Limes.
E i titoli degli ultimi due numeri danno la dimensione della gravità e vastità delle cause e dei possibili effetti dell’invasione scatenata da Putin: La Russia cambia il mondo. La fine della pace.
Sono affermazioni con cui dobbiamo confrontarci, sulle quali è urgente riflettere. Magari anche in modo controdeduttivo.
Domenica il Corriere della sera, con l’editoriale di Federico Rampini – Il mondo diviso (su Putin) – si è accorto che oltre la retorica dell’Occidente democratico sorprendentemente unito contro una Russia «sempre più isolata» esiste una maggioranza mondiale di popolazioni non «occidentali» che non la pensano affatto così. I loro governi si sono astenuti all’Onu e non applicano sanzioni contro i russi.
Sono giganti come l’India, il Pakistan, il Brasile, il Sud Africa. Ma c’è anche un paese aderente alla Nato come la Turchia e un potente e influentissimo alleato degli Usa come Israele.
Non ho ben compreso che cosa Rampini vorrebbe da parte dell’Occidente per rimediare a questa situazione: ho trovato singolare che tra le cause che l’avrebbero determinata abbia citato la formazione dei dirigenti di molti paesi «terzi» avvenuta negli Usa. Nelle cui università imperverserebbe l’autolesionismo dell’accademia occidentale, che descrive l’Occidente stesso «come l’unico colpevole di tutte le sofferenze dell’umanità».
Ma davvero le «élite terzomondiste» oggi sono troppo prevenute verso l’America, la Francia o l’Inghilterra e lo sono meno verso Cina e Russia perché hanno studiato con quei faziosi docenti di Harvard?
In questa opinione, ma in moltissime altre, è poi completamente rimossa la parola «capitalismo». Ciò impedisce di vedere quali gravi ingiustizie economiche e sociali stiano dietro le democrazie occidentali e, paradossalmente, anche quanto di male ci sia nei sistemi socioeconomici della Cina e della Russia, che sono comunque altre forme di capitalismo selvaggio, aggravate da corruzione (non manca anche dalle nostre parti) governi «autocratici» se non dittatoriali, restrizioni gravissime delle libertà.
L’aggressione di Putin all’Ucraina forse, più che «cambiare» il mondo, potrebbe aiutarci a capire com’è fatto davvero oggi.
A me sembra sorprendentemente simile al mondo del 1914, quando gli scontri tra potenze capitaliste e imperialiste e le resistenze di classe a reali democratizzazioni nelle società di massa portarono alla prima guerra mondiale, alle rivoluzioni socialiste e comuniste, alla reazione nazifascista.
Nel frattempo sono accadute due o tre cose che il mondo lo hanno cambiato davvero, ma stentiamo ancora a capirlo.
È fallito il tentativo epocale di costruire un’alternativa al capitalismo. Ma tutto ci dice che un’altra via resta necessaria.
La scienza e la tecnica hanno compiuto rivoluzioni strabilianti. Purtroppo anche con conseguenze apocalittiche. Un filosofo che andrebbe studiato meglio, Günther Anders, dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, scrisse e agì molto per avvertirci che siamo rimasti «uomini antiquati», incapaci di modificare le intenzioni, i pensieri e le azioni di fronte al potere distruttivo totale delle nostre stesse creazioni.
Uomini – aggiungo – incapaci di capire l’altro grande evento che ha cambiato il mondo: la rivoluzione pacifica, per quanto radicale e «agguerrita», delle donne e del femminismo.
Sono le cose che rendono orribile, tragicamente stupida, antidiluviana, la guerra. Ogni guerra. E che ci dovrebbero spingere a pensare e vivere una pace che, in realtà, finora non è mai esistita.
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