Vassily gonfia le ruote della bicicletta in piedi sulla soglia di un container che usa come magazzino. Ha più di settant’anni e la bicicletta gli serve per andare a comprare l’acqua e qualche provvista all’alimentari locale. Vassily vive con sua moglie ad Avdiivka, cittadina di poche migliaia di abitanti a venti chilometri da Donetsk, la capitale della «Repubblica popolare di Donetsk» che ha dichiarato la sua indipendenza da Kiev nel 2014.

Sua moglie insegnava letteratura straniera al liceo e parla abbastanza bene francese. Si vergogna un po’ di mostrarci la sua casa nelle condizioni in cui si trova al momento. Anche la sua mise la mette a disagio, ma acconsente comunque a farci entrare nel suo appartamento dove ormai è più frequente stare senza corrente che averla. Per questo la signora ha fatto bollire l’acqua e ha usato del sapone per lavare dei vestiti, tutta la casa sa di umido e di detersivo, l’aria è quasi irrespirabile.

CI SPIEGA che «gli alimentari sono ancora aperti, se non sbaglio ce ne sono tre in città; certo, dipende da quando gli consegnano i rifornimenti, ma in genere hanno un po’ di tutto. L’acqua non manca e neanche un po’ di verdura e qualche pezzo di carne di pollo e di manzo… ma fare la spesa è diventato difficile, i prezzi sono triplicati».

La signora ci vuole mostrare qualcosa e infila le scarpe per accompagnarci negli scantinati. Attraverso una porta di ferro e poi una scala di legno scricchiolante si accede a un sotterraneo buio con il soffitto basso.

Una luce fioca guida oltre una tenda, qui tre vecchi sono seduti in silenzio intorno a un tavolino con una candela al centro. Ci salutano appena. La nostra presenza è ingombrante, da settimane non fanno che stare rintanati sottoterra e vedere degli stranieri li mette a disagio. Salutiamo ricevendo appena un cenno del capo e torniamo nelle strade deserte.

A poche centinaia di metri, in una stazione dell’autobus vicino a una fabbrica, ieri i bombardamenti hanno ucciso dieci operai in attesa dei mezzi pubblici e ne hanno feriti almeno 15. Il sangue sui marciapiedi ieri si era già raggrumato. Qualcuno ha lasciato papaveri rossi vicino alle macchie, nell’unica zona in cui il sole illumina direttamente le aree sotto le pensiline e il rosso dei fiori finisce per assomigliare al sangue pochi centimetri più in là.

QUI ALLA GUERRA erano abituati, spesso capita di incontrare qualcuno che dice «solo voi giornalisti non ve ne eravate accorti prima, ma qui si combatte da otto anni». Tuttavia, dal 24 febbraio, la situazione è peggiorata verticalmente. All’inizio le truppe separatiste hanno provato a sfondare, ma senza significativi risultati.

Difatti il comando russo ha dovuto esautorare le forze locali, esempio lampante di quanto poco l’amministrazione di Mosca abbia creduto nei cosiddetti «filo-russi» locali. Ora le avanguardie sono gli spetsnaz, le forze speciali dell’armata russa, sono loro a condurre le missioni esplorative alla ricerca di una breccia che permetta al grosso delle truppe di poter attaccare.

Spesso, però, capita che gli spetsnaz incontrino gli ucraini trincerati nella boscaglia o in qualche edificio alle porte di un centro urbano. In tal caso ci sono morti, feriti e prigionieri, dipende dalla situazione e dal contesto.

Gli analisti militari concordano nel dare un vantaggio di almeno tre volte al difensore: conosce il territorio, si batte per qualcosa che può essere sintetizzato con il motto «la difesa della patria» e ha dalla sua parte la popolazione civile. In questo caso bisogna aggiungere la famosa questione del «morale».

LA STAMPA OCCIDENTALE si affanna a dimostrare quanta poca voglia abbiano di combattere i russi e come sia scarsa la loro motivazione. Ovvio che il nemico è sempre più brutto, più cattivo e meno leale in battaglia, ma descriverlo come svogliato e demotivato è altra cosa.

Il Donbass, in teoria, in questo momento dovrebbe essere l’obiettivo principale dei russi. Si possono interpretare così i bombardamenti su Rubizhne, definita dai militari ucraini della zona come la «nuova Stalingrado»; una città in cui, nonostante più volte i russi si siano dichiarati i nuovi padroni, si continua a sparare in molti quartieri perché i difensori non hanno deposto le armi.

Nello stesso alveo si possono inserire i bombardamenti di Popasne, nei quali sono stati addirittura colpiti degli autobus di civili che stavano evacuando, e le azioni su Izyum, nell’oblast di Kharkiv. Qui le truppe dell’esercito invasore cercano in tutti i modi di conquistare una posizione strategica al fine di stabilire una linea che vada verso sud, ancora una volta verso il Donbass.

Secondo l’intelligence britannica Mosca starebbe per schierare 22 battaglioni tattici nella zona al fine di piegare una volta per tutte la resistenza dei difensori. A pochissima distanza, nella cittadina sotto il controllo separatista di Makiivka, ieri è divampato un grande incendio in seguito a un attacco a un deposito di carburante. L’agenzia statale russa RIA Novosti ha incolpato gli ucraini ma da Kiev non sono giunte dichiarazioni in merito.

A VOLTE SI SENTE parlare di «avanzata rapida» ma nel territorio tra Kramatorsk e Severodonetsk non sembra affatto che la velocità sia il tratto distintivo dell’avanzata russa. Poco più a nord, nella regione di Kharkiv, si parla della grande «riscossa» ucraina. Secondo fonti di Kiev, i propri uomini sarebbero riusciti a riconquistare almeno 60 chilometri di territorio nei pressi del capoluogo, un’enormità se si pensa che i russi avevano impiegato due mesi per occuparli.

Tuttavia, le previsioni andrebbero un po’ ridimensionate: l’esercito russo sta effettuando grandi spostamenti da una parte all’altra del fronte est e la strategia su Kharkiv sembra essere virata interamente verso il bombardamento costante del centro urbano.

Anche due altri grandi centri simbolo dell’Ucraina sono stati colpiti ieri, Dnipro e Leopoli. Quest’ultima in mattinata è stata raggiunta da un missile che ha causato un corto circuito in due sottostazioni elettriche lasciando per ore una parte della città senza corrente. A Dnipro si tratterebbe, di nuovo, di un’infrastruttura ferroviaria ma al momento non sono stati rivelati maggiori dettagli.

Sul fronte sud, la protagonista è Kherson. Dal 30 aprile la città era tagliata fuori dalle linee telefoniche, ora ripristinate dalle compagnie ucraine. Oltre ai piani per un’eventuale conquista del territorio limitrofo, continuano gli scontri al confine con l’oblast di Mykolayiv e da oltre tre settimane non si registrano significativi spostamenti tra i due fronti.