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Le «ferite indelebili» del giovane Musa al processo Open Arms

Protesta "teatrale" di fronte al Tribunale di Palermo in occasione della prima udienza del processo contro Salvini, nell'ottobre 2023Protesta "teatrale" di fronte al Tribunale di Palermo in occasione della prima udienza del processo contro Salvini, nell'ottobre 2023 – Ap

Salvini alla sbarra Ieri è stato il giorno delle parti civili: «Ci sono tutte le condizioni per condannarlo». La testimonianza del ragazzo gambiano, all’epoca minorenne, unico naufrago presente in aula su 147 che erano a bordo. Gli altri «sono ancora terrorizzati»

Pubblicato 6 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Mentre l’avvocato Serena Romano raccontava davanti ai giudici del processo Open Arms la storia di Musa Nije, il giovane gambiano annuiva. A testa bassa ha ascoltato la ricostruzione che il suo legale ha fatto dei tre anni che ha vissuto nelle carceri libiche prima di salire sul barcone con gli altri 54 migranti poi salvati dalla nave della ong spagnola.

All’epoca della detenzione in Libia Musa aveva appena 13 anni: nei centri di detenzione è stato torturato con scariche elettriche che gli hanno lasciato cicatrici alle mani e preso a colpi di bastone nei piedi riportando la frattura delle ossa che gli hanno spento il sogno di diventare un calciatore.

PER CINQUE ORE, il giovane gambiano, che ora ha 20 anni, ieri è tornato indietro nel tempo. «Musa ha accettato di partecipare all’udienza nonostante le ferite indelebili che porta sul corpo e nella mente», ha detto l’avvocato Romano.

Il ragazzo africano, che dopo lo sbarco a Lampedusa è rimasto a vivere in Sicilia, è l’unico del gruppo dei 147 migranti salvati dalla Open Arms ad avere messo piede nell’aula di tribunale da quando, tre anni fa, è cominciato il processo a Matteo Salvini per il quale il pubblico ministero, la scorsa settimana, ha chiesto la condanna a sei anni di carcere per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, i due capi d’imputazione che gli vengono contestati per avere impedito, cinque anni fa, lo sbarco dei naufraghi a Lampedusa, tenuti 19 giorni in mare.

Su ordine del Tribunale dei minori, Musa lasciò la Open Arms, assieme agli altri minorenni, soltanto due giorni prima degli altri, fatti sbarcare poi dalla Procura di Agrigento che appurò durante un sopralluogo le condizioni disastrose a bordo dello scafo.

«Sono stati 17 giorni molto difficili sulla Open Arms, avevo paura anche del mare – ha detto il giovane del Gambia ai cronisti – Non è facile per me ricordare, cercavo di dormire sulla nave per non pensare, ma era molto complicato. Ora vivo in Sicilia, ho studiato qui, lavoro. Per questo dico grazie mille ai siciliani e agli italiani».

Gli altri naufraghi difesi nel processo non ce l’hanno fatta. Troppo grandi le ferite ancora aperte. «Rappresento tre nigeriani che vivono adesso a Postdam in Germania, quando ho chiesto se fossero stati disponibili a tornare in Italia per il processo si sono rifiutati senza esitazione, sono ancora terrorizzati», ha riferito ai giudici l’avvocato Mario Antonio Angelelli, che difende anche il comune di Barcellona.

Anche altri due nigeriani, difesi dall’avvocato Silvia Calderoni, legale pure di Emergency, non se la sono sentita di presentarsi alle udienze. «Vivono in Francia, hanno ottenuto la protezione internazionale, il più giovane ha avuto anche il ricongiungimento familiare – ha detto il legale di parte civile – Li ho sentiti al telefono, hanno rifiutato categoricamente di tornare, non vogliono rivivere quella esperienza e temono di non essere creduti».

Nel corso dell’udienza, ieri le parti civili hanno sostenuto che «ci sono tutte le condizioni per affermare la responsabilità penale dell’allora ministro dell’Interno Salvini». Appoggiando in pieno la requisitoria del pubblico ministero, «fatta in modo molto argomentata sia sulla ricostruzione dei fatti sia sulle disposizioni giuridiche che sono state violate dell’imputato», gli avvocati delle parti civili hanno chiesto la condanna di Salvini a risarcire i propri assistiti per i danni subiti per un totale di oltre un milione di euro.

Adesso i riflettori si spostano sulla difesa che nella prossima udienza, il 18 ottobre, farà la propria arringa, poi l’ultimo step con le repliche, quindi i giudici si riuniranno in camera di consiglio per la sentenza, attesa entro la fine dell’anno. Giulia Bongiorno ribadirà che «non ci fu alcun sequestro di persona» e che «anzi dopo che la responsabilità fu in capo all’Italia i migranti a bordo furono assistiti».

Prima di lasciare in anticipo l’udienza di ieri, il legale di Salvini ha espresso «solidarietà ai pm per le minacce» ricevute dopo la richiesta di condanna a sei anni del leader della Lega. “Bisogna condannare con fermezza qualsiasi tipo di invettiva, minaccia e aggressione», ha affermato Bongiorno. E riferendosi alle iniziative che sta mettendo in campo la Lega per fare cerchio attorno al Capitano, ha tentato di smorzare i toni: «Nessun tipo di iniziativa, non so in che termini sarà, è diretta ad avvelenare il clima.

Sono la prima a dire che non si devono alzare i toni, dobbiamo ancorarci agli atti processuali perché quelli ci danno ragione. Assolutamente abbassiamo i toni, limitiamoci ad esaminare gli atti».

Atti che per le parti civili, invece, inchioderebbero Salvini alle proprie responsabilità.

«Sulla nave c’era un carico di umanità dolente, l’imbarcazione si trovava in condizioni meteorologiche difficili – ha sostenuto l’avvocato della ong, Arturo Salerni – Di fronte a queste persone sguarnite di ogni difesa la pubblica autorità con il suo vertice, al di fuori di ogni previsione normativa, decise di privare della libertà le persone che si trovavano in quella condizione. Siamo di fronte all’esercizio di un potere che contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento, oltre che in contrapposizione col diritto umanitario internazionale».

Per l’avvocato dell’Arci, Michele Calantropo, «il pugno duro di Salvini contro 147 disgraziati era lo strumento elettorale per potersi differenziare perché in quella fase c’era uno scontro politico all’interno del governo, come hanno dichiarato alcuni ex ministri sentiti nel processo». Tesi ribadita dal legale dell’associazione nazionale giuristi democratici, l’avvocato Armando Sorrentino: «Il 9 agosto di cinque anni fa Salvini disse che si andava al voto e il giorno dopo i giornali titolarono: ‘Salvini, voglio pieni poteri’. Quel giorno Salvini ruppe con gli alleati e cominciò la sua ricerca del consenso facendo leva sull’immigrazione».

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