Mille testimoni, oltre 140.000 documenti, 45 alti funzionari addetti a vagliarli e impegnati nelle indagini e nelle audizioni, tra cui diversi ex-pubblici ministeri federali, esperti di criminalità organizzata, terrorismo, reati finanziari e criptovalute. Un sito web dedicato. Oltre due milioni di dollari, finora, per far funzionare la macchina investigativa.

E per arrivare, a un anno dal suo insediamento, alla prima clamorosa, anche se non sorprendente, conclusione: Donald Trump è stato «al centro» di una cospirazione tesa a rovesciare la sconfitta inflittagli da Joe Biden nelle elezioni del novembre 2020 e culminata nella fallita prova di forza nel Congresso, il 6 gennaio 2021, per scongiurare la ratifica della vittoria dell’avversario.

A scolpire le tre parole, «at the center», è Bennie Thompson, il politico in questo momento più celebre d’America.

Tredici legislature, il congressman del Mississippi, figura di spicco della rappresentanza parlamentare nera, presiede con piglio e competenza la Commissione della camera dei rappresentanti incaricata di far luce sugli accadimenti del 6 gennaio 2021 che sconvolsero il cuore politico di Washington, scene che traumatizzarono l’America e il mondo.

Al suo fianco, come vice presidente, Liz Cheney, figlia prediletta del malefico Dick, annoverati entrambi, per la loro aperta opposizione a Trump, tra i paladini dell’America democratica. Dick Cheney? Proprio lui, il numero due di George Bush, l’anima nera e l’architetto dell’amministrazione responsabile della seconda guerra del Golfo e membro della cerchia ristretta di Bush padre. E Liz? Sì, lei, la beniamina dei neocon.

Oggi l’America che tenta, ancora una volta, di farla finita con Trump, con i suoi consigliori e i suoi seguaci, non va tanto per il sottile nella ricerca delle alleanze utili per raggiungere l’obiettivo. Apparentemente a portata di mano, vista la vastità e le evidenze che non lasciano dubbi su un vero e proprio colpo di stato tentato da Trump in persona per mantenere il potere perduto nel confronto con Biden, dopo aver invano organizzato teppistici tentativi, a livello di stati repubblicani, per invalidare i risultati nel voto di collegio.

Con Adam Kinzinger, Liz Cheney è una dei due membri repubblicani, su nove del Select Committee presieduto dall’onorevole Thompson. Contano meno di zero nel loro partito, che li ha sanzionati e che non partecipa all’inchiesta, considerando la commissione «il più politico e il meno legittimo comitato parlamentare nella storia americana», come l’ha definito il numero uno repubblicano della camera dei rappresentanti, il californiano Kevin McCarthy.

Dunque, la funzione di Cheney e Kinzinger è quella di far figurare la commissione come bipartisan, quando è in tutta evidenza democratica. Perché il problema, a questo punto, è grave e profondo quanto la stessa materia specifica su cui indaga la commissione Thompson: il tentativo di golpe trova infatti un suo ulteriore sviluppo nel comportamento ostruttivo e distruttivo del Partito repubblicano, ai suoi massimi livelli istituzionali, a Washington come nelle capitali degli stati che governa.

Ora appare ancora più chiaro come il 6 gennaio non sia stato solo l’episodio di una storia che l’inchiesta mette a nudo, promettendo una serie di altre clamorose rivelazioni nelle prossime sedute, a partire da quella di lunedì 13.

La vicenda di Capitol Hill è perfettamente coerente con una linea politica e ideologica che non è riconducibile e riducibile solo a un eccentrico ed estemporaneo tycoon, ma è specchio di una definitiva conversione di quello che è stato il Grand Old Party, in atto da tempo, da forza conservatrice, ma anche con correnti moderate, perfino liberal in passato, in aggregato di personaggi, sodalizi e formazioni di estrema destra, nazionalista, bianca, con sempre più ostentati tratti di sovversivismo, con una guida riconosciuta e ancora carismatica, Donald Trump.

Il rifiuto di indagare sui fatti del 6 gennaio è dunque il diniego di ammettere e mettere in discussione questa scelta strategica e identitaria. Non solo, ma si risponde anzi, ancora una volta, contrattaccando. Sia nelle sedi politiche sia attraverso i media amici (FoxNews è l’unico network che non segue i lavori della commissione) sia con massicce e pervasive campagne propagandistiche.

Un comitato politico pro-Trump, Save America, ha già investito 500.000 dollari in uno spot di 30 secondi in cui si riduce il comitato parlamentare a un’organizzazione di caccia alle streghe, messa su dal “Congresso democrat” e costata milioni, per distrarre il pubblico dai fallimenti di Biden.

Il fatto è che c’è un fondamento in quest’offensiva oltraggiosa. Joe Biden continua a calare drammaticamente nei sondaggi. L’inflazione comincia a galoppare con i prezzi in aumento dell’8,6 per cento a maggio.

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Tutto questo a cinque mesi dal voto decisivo di medio termine. Se il Partito repubblicano sta costruendo da tempo una narrativa che presenta le elezioni di novembre come una rivincita e una rivalsa rispetto alla vittoria “rubata” da Biden, e quindi il comitato Thompson come la legittimazione del “furto”, i democratici hanno deciso di giocare al rovescio la stessa partita, contando sul racconto, in un drammatico crescendo che si dipanerà nelle prossime settimane, del golpe e dei tentativi di negarlo e banalizzarlo, da spendere, ogni candidato, nella propria corsa elettorale.

Il rischio evidente è che ognuno si rivolgerà a una propria platea. Già convinta. Allargando la frattura tra le due Americhe.