Le cisterne della libertà dissetano Kherson, ma le case sono macerie
Crisi ucraina Nelle città strappata all’occupazione russa, gli abitanti provano a ricostruire. Nella mensa dove Irna offre pasti a 400 persone, Mykola tiene acceso Starlink. Colpita la stazione di pompaggio di Odessa: da lunedì lungo la costa non arriva acqua. In Donbass i raid aerei non accennano a fermarsi
Crisi ucraina Nelle città strappata all’occupazione russa, gli abitanti provano a ricostruire. Nella mensa dove Irna offre pasti a 400 persone, Mykola tiene acceso Starlink. Colpita la stazione di pompaggio di Odessa: da lunedì lungo la costa non arriva acqua. In Donbass i raid aerei non accennano a fermarsi
La pioggia torrenziale ieri ha salvato Kherson dall’ennesimo bombardamento devastante. Ma per tutto il giorno sono comunque riecheggiate forti esplosioni nei quartieri adiacenti al fiume Dnipro e nelle aree periferiche della città. In centro i civili si avvicendano con i boccioni di plastica alle «cisterne della libertà» che contengono semplicemente acqua potabile.
Un anziano con un carrello da trasportatore, mentre riempie le sue taniche, spiega che «l’acqua a casa ogni tanto c’è, ma fa schifo e di sicuro mi sentirei male se la bevessi». Gli altri intorno a lui annuiscono gravi e intorno alle varie cisterne il viavai è continuo.
YURI, UN VOLONTARIO dei gruppi di difesa territoriale racconta che fino a quando non è stata colpita la stazione di pompaggio di Odessa, per Mykolayiv e Kherson ovest l’approvvigionamento idrico era abbastanza regolare. Ma da lunedì Odessa è a secco e di conseguenza le altre città della costa soffrono la sete. L’acqua arriva in autobotti dalle altre grandi città ucraine e da alcune organizzazioni internazionali.
Ma per i civili al momento non sembra il principale dei problemi. La mancanza di un tetto, letteralmente, è peggiore. Nelle case basse che occupano la parte più esposta ai bombardamenti russi, dove le strade sono sterrate e sembra già di essere in campagna, molti edifici sono danneggiati. Dima sta riparando il solaio dell’ultimo piano di casa sua sotto uno scheletro di travi e palanche.
È NERVOSO, non vuole farci entrare perché «al suo cane (che abbaia rumorosamente da dietro un cancello) non piacciono gli sconosciuti». «Non ho niente da dire, la situazione la vedete da soli com’è (indica il tetto divelto) … anzi, una cosa la potete scrivere: il mondo se volesse potrebbe fermare tutto questo».
Porge il polso perché ha la mano sporca e se ne torna a lavorare scuotendo il capo mentre dice qualcosa al suo vicino che si è affacciato in tuta e doposci per vedere cosa succede. Poco dopo ricomincia a piovere e Dima, impassibile, continua a spostare travi carbonizzate e a imprecare.
A poca distanza, in un casolare scampato inspiegabilmente alle bombe a grappolo che hanno puntellato i muri delle circostanti, si trova Ira. Il suo nome in realtà è Irina ma tutti la chiamano così, dirige una mensa di volontari che ogni giorno dà da mangiare a più di 400 persone. Ira ci tiene a mostrare la sua felpa del Comitato olimpico nazionale con la scritta gialla «Ukraine» ricamata sulla stoffa azzurra.
Prima della pensione era un’allenatrice di canottaggio e infatti dirige tutti come se fossero una squadra ai suoi ordini. Ride forte e ha una parola per tutti, chiunque passa la saluta deferente. Ci mostra i locali dove opera, in un corridoio c’è una montagna di pane in cassetta, nelle stanze di quella che sembrava una scuola elementare indica i volontari con i grembiuli e gli utensili da cucina.
MENTRE PASSIAMO da un locale all’altro incontriamo Mykola, in tuta da lavoro rossa con strani stemmi sul petto. È il tecnico di Starlink, fuori dalla finestra su un tavolo è poggiata una parabola satellitare coperta da un telo di plastica.
«Mi occupo di tenere la connessione con il satellite stabile – spiega con l’occhio buono mentre l’altro guarda fuori dalla finestra – Qui vengono continuamente da tutta la città per comunicare con i parenti lontani e all’estero». Ma chi ha portato Starlink? «Sfortunatamente questo dovete chiederlo al mio supervisore, io sono solo un tecnico». D’accordo, però durante l’occupazione funzionava? «No, io sono arrivato con l’esercito ucraino quando è entrato in città, prima ero a Mykolayiv».
IGOR, IL NIPOTE di Ira, ha dato vita al centro di aiuti umanitari nel quale sua nonna spadroneggia amabilmente. Prima della guerra era professore di filologia ucraina all’università, il 26 febbraio ha iniziato a fare la spola con Zaporizhzhia per trasportare sangue all’ospedale di Kherson per le trasfusioni urgenti. Dopo poco ha organizzato il primo centro di aiuti per bambini della città.
«All’inizio raccoglievamo pannolini, omogenizzati e tutto ciò che chi lasciava la città ci donava». Quindi si poteva lasciare la città anche durante l’occupazione? «Si poteva andare verso Zaporizhzhia e provare a passare i controlli».
Molti report parlano di corruzione diffusa tra i soldati russi che chiedevano mazzette in cambio del passaggio. «Poi tornavo con gli aiuti che dovevano comunque passare per i campi di filtraggio». I russi quindi lasciavano passare gli aiuti umanitari? «Fino a settembre sì, negli ultimi tre mesi però avevano chiuso tutto e ci siamo dovuti arrangiare come potevamo».
Oggi Kherson ovest non si presenta distrutta come Mykolayiv o Bakhmut e i civili che si sono rifiutati di evacuare cercano di adattarsi al meglio, ma tutto lascia supporre che l’inverno qui sarà lunghissimo e i russi non risparmieranno le bombe. Anche in Donbass continuano i bombardamenti. Ieri a Kurakove in seguito a un bombardamento russo sono morte dieci persone.
INTANTO, SECONDO la testata Krym Realii, ieri mattina a Sebastopoli è risuonata «una potente esplosione» nei cieli sopra il centro città. Lo stesso media ha dichiarato che prima del boato si è sentito un suono «simile al lancio di un razzo». Forse di tratta dell’ennesimo attacco ucraino ma al momento non abbiamo dichiarazioni ufficiali.
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