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Le «bombe climatiche» che fanno gola agli appetiti bancari

Le «bombe climatiche» che fanno gola agli appetiti bancari

Energia Dalle Filippine alla Patagonia al Mozambico. Alcune opere nel mondo, devastanti per l’ambiente e per le comunità, nelle quali si sono tuffati grandi istituti di credito

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 23 maggio 2024

Le chiamano «bombe climatiche». Una locuzione tristemente efficace per descrivere le opere e i progetti del comparto fossile che hanno impatti devastanti sul clima, ma anche sull’ambiente e le persone. Infrastrutture che senza i munifici finanziamenti degli istituti di credito difficilmente vedrebbero la luce.

MIZUHO, ING, DEUTSCHE Bank e JPMorgan Chase sono le più interessate a partecipare alla realizzazione di terminal di gas naturale liquefatto nel Verde Island Passage, uno stretto marino tra Batangas e l’isola di Mindoro, nelle Filippine. Il Verde Island Passage si trova all’interno del Triangolo dei Coralli, l’area più ricca di vita marina sulla Terra, tanto che viene spesso definito «l’Amazzonia degli oceani». Vaste barriere coralline e canyon rocciosi ricoprono il fondale marino, lungo le colorate montagne di corallo nuotano pesci rossi e squali balena in via di estinzione, enormi tartarughe marine e numerosi altri animali oceanici. Nel 2005, gli scienziati hanno contato 1736 specie marine in un’area di 100 chilometri quadrati e ogni anno continuano a scoprire nuove specie animali. Il Verde Island Passage è così ricco di biodiversità da essere un «magazzino genetico» per gli ecosistemi marini danneggiati delle Filippine, perché da lì larve di coralli, pesci e altre specie si spostano verso altre barriere coralline, vi si stabiliscono e contribuiscono a rivitalizzarle.

UN PARADISO, MAI DEFINIZIONE fu più azzeccata, che rischia di essere compromesso per sempre sulla spinta dell’Atlantic, Gulf and Pacific Company di Singapore e della compagnia locale First Gen Corporation, già attive per trasformare il Verde Island Passage in un intrico di terminal, tubature e centrali. Oltre all’ambiente e al clima, a pagare un prezzo altissimo per l’investimento che fa gola alle banche occidentali saranno le comunità di pescatori dell’area, le quali insieme ai gruppi di base si sono già mobilitate contro l’invasione del business del gas naturale liquefatto.

UN’ALTRA REGIONE DEL MONDO particolarmente evocativa è la Patagonia, in Sud America. Nella parte argentina è già in corso dal 2022 lo sviluppo di Vaca Muerta, un mega progetto di fracking, l’estrazione di gas di scisto attraverso la fratturazione idraulica. Le compagnie fossili e le banche si sono letteralmente tuffate su Vaca Muerta, tanto che sono oltre 30 i soggetti coinvolti, dalla BP alla Deutsche Bank, alla Shell e alla Goldman Sachs.

LE OPERAZIONI DI FRACKING A VACA MUERTA fanno ammalare le persone. I prodotti chimici usati per la fratturazione idraulica avvelenano l’acqua potabile, i terreni agricoli e il raccolto. Si respira male a causa dell’odore persistente di petrolio e gas nell’aria. Nelle comunità sono in aumento esponenziale i problemi di salute cronici come il cancro, l’asma e le malattie della pelle. Come se non bastasse, c’è la grossa questione dei rifiuti, che gli impianti di trattamento non riescono a smaltire, e quella dei terremoti. Le operazioni di fracking, infatti, fanno regolarmente tremare e crepare le case.

LE RICADUTE SOCIALI STANNO PORTANDO la Patagonia settentrionale vicino al collasso. Masse di lavoratori si stanno trasferendo nella zona e così città come Añelo stanno crescendo in modo caotico. Nell’ultimo decennio, la sua popolazione è triplicata. I prezzi delle case e dei generi alimentari hanno subito un’impennata, tanto che anche gli addetti del settore estrattivo faticano a pagare le bollette. Così sempre più persone sono costrette a trasferirsi nelle povere baraccopoli alla periferia delle città, mentre le comunità mapuche presenti nell’area denunciano soprusi e prevaricazioni nei loro confronti.

IL PREMIO NOBEL PER LA PACE Adolfo Pérez Esquivel, un vescovo cattolico locale, agricoltori, medici, insegnanti e politici si sono espressi contro la distruzione della regione. Persino le Nazioni Unite hanno esortato l’Argentina a fermare il gigantesco progetto di fracking, ma per ora si continuano ad aprire pozzi senza soluzione di continuità.

PER FINIRE LA NOSTRA RASSEGNA DI ALCUNI esempi molto significativi di bombe climatiche trasferiamoci in Africa, per la precisione in Mozambico. In un Paese già pieno di conflitti, ExxonMobil, TotalEnergies, Eni e i loro partner sono arrivati per sviluppare uno dei più grandi progetti di gas del continente africano. E le conseguenze negative non si sono fatte attendere.

PRIMA DELL’ARRIVO DELLE MAJOR DEL GAS, la provincia Cabo Delgado in Mozambico era una rinomata località turistica, sita nel nord del Paese vicino al confine con la Tanzania. Ma dal 2017, quando è iniziata la rivolta guidata dal gruppo islamista noto come Ahl al-Sunnah wa al Jamma’ah, le cose sono cambiate radicalmente. Fra l’agosto 2020 e il marzo 2021 gli insorti presero il controllo di Mocímboa da Praia e di Palma, costringendo alla ritirata l’esercito mozambicano. In quel momento cadeva la città simbolo dell’industria estrattiva nella regione. L’organizzazione Armed Conflict Location and Event Data Project riporta che negli ultimi sei anni sono state uccise più di 4 mila persone, mentre secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati sono circa 900 mila gli sfollati.

NEL MAGGIO DEL 2023, la TotalEnergies ha pubblicato un rapporto sui diritti umani a Cabo Delgado, commissionato a Jean-Christophe Rufin, ex-ambasciatore francese in Senegal e tra i fondatori di Medici Senza Frontiere. Rufin è stato netto nell’affermare che nella provincia economicamente più povera del Mozambico il senso di frustrazione diffuso tra le comunità impattate dall’espansione dell’industria estrattiva sia tra i fattori su cui possono far leva gli insorti. L’ex-ambasciatore osservava poi che i progetti estrattivi potrebbero diventare l’obiettivo di attacchi terroristici. Anche il ministero degli Affari esteri italiano, interpellato da ReCommon attraverso un’istanza di accesso agli atti, conferma la presenza di un «conflitto ancora in corso», aggiungendo che gli attacchi contro gli investimenti stranieri non sono tuttavia «sistematici». Insomma, una situazione esplosiva, che però non ha impedito a Intesa Sanpaolo e UniCredit di sostenere finanziariamente un progetto di Eni.

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