Le auto elettriche dividono Seul e Washington
Scintille L'approvazione a Washington dell’Inflation Reduction Act conterrebbe discriminazioni nei confronti dei produttori sudcoreani che l’accordo di libero scambio tra i due paesi e le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del commercio esplicitamente proibiscono
Scintille L'approvazione a Washington dell’Inflation Reduction Act conterrebbe discriminazioni nei confronti dei produttori sudcoreani che l’accordo di libero scambio tra i due paesi e le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del commercio esplicitamente proibiscono
Corea del Sud e USA sono alleati storici, ma quando si parla di affari i due paesi non la vedono sempre allo stesso modo. Nelle ultime settimane si è infatti aperto un nuovo contenzioso che coinvolge il settore dell’auto, una delle industrie più importanti della Corea. Lo scorso 16 agosto Washington ha approvato l’Inflation Reduction Act, un provvedimento al cui interno vengono previsti importanti sussidi per i cittadini statunitensi. Tra questi è stato incluso un credito d’imposta del valore di $7500 per i contribuenti che intendessero acquisire un’auto elettrica.
La misura sembrerebbe ottima, anche per la Corea, le cui case automobilistiche stanno puntando molto sull’elettrificazione. Sono però i dettagli della legge ad aver frustrato e irritato i sudcoreani, poiché il provvedimento pone delle condizioni. Affinché l’acquirente possa richiedere il credito, almeno il 40% dei minerali critici contenuti nella batteria dell’auto devono essere stati estratti o processati negli Usa o in paesi con cui Washington abbia accordi commerciali di libero scambio, mentre almeno il 50% dei componenti delle stesse batterie devono essere stati prodotti o assemblati in Nord America. L’incentivo è entrato in vigore immediatamente dopo la promulgazione della legge e le percentuali dovrebbero alzarsi di anno in anno.
Il provvedimento, oltre che stimolare il mercato dell’auto elettrica statunitense, mira ovviamente anche a emarginare la Cina dalle catene di approvvigionamento di questo settore in rapida espansione. I produttori cinesi di batterie per auto elettriche rappresentano oggi il 56% dell’industria globale ma non possiedono stabilimenti negli USA né possono beneficiare di un trattato di libero scambio tra Pechino e Washington. L’incentivo, quindi, si configura come un’altra iniziativa per rafforzare la cooperazione coi propri alleati su una tecnologia emergente che rimodellerà il panorama industriale globale.
L’iniziativa così concepita dovrebbe stringere i legami tecnologico-commerciali e favorire proprio quei paesi come la Corea. Per Seul però questo provvedimento pone due problemi. Il primo è che i minerali critici come manganese, cobalto o litio sono prodotti per la maggior parte in Cina. Secondo i dati IEA, Pechino infatti processa circa il 70% dei minerali che sono necessari per la produzione di batterie e da queste forniture dipendono pesantemente i produttori sudcoreani di batterie. Sebbene più difficilmente praticabili, esistono però delle fonti di approvvigionamento alternative come Cile e Australia.
Ma il problema principale per la Corea è la mancanza di stabilimenti produttivi in Nord America. Hyundai in particolare, il gigante automobilistico di Seul, produce la maggior parte dei propri veicoli elettrici all’interno del paese e fino ad ora li aveva semplicemente esportati oltreoceano. La costruzione del primo impianto statunitense dovrebbe cominciare in Georgia solo l’anno prossimo per entrare in produzione nel 2025, perdendo così 3 anni di sussidi che renderebbero la casa automobilistica meno competitiva dei propri rivali. Per Hyundai, che si è posta l’obiettivo di vendere negli Usa circa un quarto di tutte le auto elettriche che venderà nel 2030, si tratta di un grosso grattacapo.
Non a caso la politica è presto entrata in campo. Subito dopo l’approvazione, le autorità sudcoreane hanno comunicato a Washington le proprie preoccupazioni. Dal punto di vista di Seul, la legge statunitense impone delle ingiuste discriminazioni nei confronti dei produttori sudcoreani che l’accordo di libero scambio tra i due paesi e le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del commercio esplicitamente proibiscono. Pur cercando di mantenere la freddezza e cercando di dare la priorità alle consultazioni, il ministro dell’industria Lee Chang-yang non ha escluso che, come ultima risorsa, Seul potrebbe anche presentare formale ricorso.
Nelle ultime due settimane si contano almeno quattro missioni sudcoreane per discutere la questione con la controparte. Secondo quanto riportato sui media, da parte degli Usa ci sarebbe comprensione per la posizione di Seul e le autorità statunitensi avrebbero promesso di rivedere assieme la questione. In ballo c’è più del solo mercato dell’auto elettrica.
Come ha dichiarato mercoledì il ministro del commercio sudcoreano Ahn Duk-geun, in visita a Washington per continuare le discussioni, si tratta di una questione di fiducia tra i due paesi. Ma le aspettative per ora non possono essere troppo alte: con le elezioni di midterm alle porte, rivedere la legge anti-inflazione appena approvata non sembra tra le priorità di Joe Biden. E la Corea, alle cui preoccupazioni si accodano anche giapponesi ed europei, esplora la possibilità di intavolare un’azione collettiva.
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