Italia

Le attenuanti a Cospito: niente ergastolo, ma 23 anni

Le attenuanti a Cospito:  niente ergastolo, ma 23 anniAlfredo Cospito in video collegamento dal carcere di Sassari durante il processo di Torino – Ansa

Respinta la richiesta del Pg del processo bis per l’attentato alla Scuola carabinieri di Fossano. L'anarchico: «Non c’è prova che io e Anna abbiamo piazzato gli ordigni a Fossano. Questo è un processo alle idee. Gli anarchici non fanno stragi indiscriminate, perché gli anarchici non sono lo Stato».

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 giugno 2023

Riconosciute le attenuanti per il fatto di lieve entità, l’anarchico cinquantaseienne Alfredo Cospito è stato condannato ieri a 23 anni di carcere per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano (Cuneo) del 2 giugno 2006, che non provocò né morti né feriti ma che la Cassazione ha riqualificato come «strage contro lo Stato». Per la sua compagna e co-imputata Anna Beniamino, appartenente alla stessa organizzazione Fai-Fri, i giudici della Corte d’Appello di Torino hanno stabilito 17 anni e 9 mesi di reclusione. Dunque la Corte del processo bis, originato dall’inchiesta Scripta Manent sulla Federazione anarchica informale, dopo quattro ore di camera di consiglio non ha accolto le richieste di ergastolo e di 12 mesi di isolamento diurno per Cospito, attualmente detenuto a Sassari ancora in regime di 41-bis, e di 27 anni e un mese di carcere per Beniamino, formulate dal procuratore generale Francesco Saluzzo.

I GIUDICI ERANO CHIAMATI a ricalcolare la pena relativa a uno solo degli episodi contestati, l’attentato di Fossano appunto, dopo che la Corte costituzionale, il 18 aprile scorso, rispondendo alla questione sollevata nel 2022 dallo stesso tribunale di Torino, aveva dichiarato incostituzionale un articolo della cosiddetta legge ex Cirielli che vieta di concedere le attenuanti per fatti di lieve entità (mancanza di vittime) nel caso di un imputato recidivo come Cospito, che è già stato condannato in via definitiva a 9 anni e cinque mesi, ed ha già scontato la pena, per aver gambizzato nel 2012 Roberto Adinolfi, manager di Ansaldo Nucleare.

Riconosciuta però la tesi accusatoria secondo la quale sono stati i due anarchici a piazzare, quella notte, due ordigni ad alto potenziale con 500 grammi di polvere pirica ciascuno dentro i cassonetti dei rifiuti nei pressi di uno degli ingressi della caserma di Fossano. Bombe che esplosero a mezz’ora di distanza l’una dall’altra, secondo il pg «per massimizzare gli effetti letali dell’esplosione». L’attentato era stato rivendicato dalla Fai-Fri.

MA COSPITO, che ha seguito l’udienza in video collegamento dal carcere di Sassari dove è tornato dopo aver interrotto lo sciopero della fame contro il 41bis cui è sottoposto dal maggio 2022, per la prima volta dall’inizio dell’attuale processo ha negato il proprio coinvolgimento nell’attentato di Fossano. Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, verso le 15, l’anarchico infatti ha rilasciato una dichiarazione spontanea: «Non c’è nessuna certezza che chi ha fatto quell’attentato voleva uccidere, non ci si può affidare a perizie fatte dopo – ha detto -. In vent’anni di attentati di sigle anarchiche non c’è mai stato un morto. Chiaramente erano tutti attentati dimostrativi». Ma soprattutto, ha aggiunto l’anarchico, «non c’è nessuna prova che io e Anna abbiamo piazzato gli ordigni a Fossano. In questo processo sono evidenti accanimento e stranezze: quando è successo l’attentato nessuno gli ha dato importanza. Poi la Cassazione ha trasformato una strage semplice in strage politica. Questo è un processo alle idee. Gli anarchici non fanno stragi indiscriminate, perché gli anarchici non sono lo Stato».

FUORI DAL PALAZZO di giustizia di Torino fin dal mattino una decina di anarchici ha testimoniato la vicinanza ai due imputati con uno striscione sul quale campeggiava la scritta: «Solidarietà con Anna e Alfredo».

«Finalmente un barlume di ragionevolezza è giunta ad orientare la decisione dei giudici di Torino», ha commentato, sollevato, il legale di Cospito, l’avvocato Flavio Rossi Albertini. «Siamo assolutamente soddisfatti, 23 anni è una pena elevata ma avevamo timore che potesse andare molto, molto peggio», ha aggiunto Albertini che durante l’arringa aveva sottolineato la non proporzionalità della richiesta della pubblica accusa ad un reato che, al di là delle intenzioni, non ha provocato vittime: «Non si capisce perché la procura generale voglia applicare una pena così esemplare», aveva detto.
La pena non è stata esemplare, per fortuna, ma 23 anni non sono pochi.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento