La Chiesa cattolica rinunci ai preti-soldato, soprattutto in questo tempo di «guerra mondiale» che stiamo attraversando. Lo chiedono, con una lettera indirizzata al cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e al cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi, il Coordinamento delle teologhe italiane, Pax Christi, il movimento Noi Siamo Chiesa, le Comunità cristiane di base e una serie di associazioni, gruppi e riviste fra cui Adista, il Cipax (Centro interconfessionale per la pace), il Centro italiano femminile, le reti degli omosessuali credenti.

«La “guerra mondiale” in cui siamo immersi, dentro il sistema gigantesco di ingiustizia e di complicità che la alimenta, ci spinge sempre più a valutare gli strumenti bellici con una mentalità completamente nuova», si legge nella lettera. «Riteniamo, quindi, sia arrivata l’ora di una testimonianza evangelica limpida e radicale per superare la presenza strutturata dei presbiteri nell’esercito, con il gesto unilaterale di uscita dall’attuale sistema dei cappellani militari. L’assistenza spirituale al personale militare può essere assicurata da cappellani senza stellette non inquadrati nelle forze armate».

GLI ACCORDI fra Stato e Chiesa prevedono infatti che i cappellani militari siano a tutti gli effetti inseriti nella struttura gerarchica delle forze armate, con i gradi e gli stipendi – pagati dal ministero della Difesa – dei soldati. Il capo dei cappellani, cioè il vescovo ordinario militare (dal 2013 il ruolo è ricoperto da Santo Marcianò, nominato da papa Francesco), per esempio, è equiparato a un generale di corpo d’armata e ha una retribuzione annua lorda di 200mila euro, in base alle tabelle ministeriali. E così via tutti gli altri, fino ai livelli più bassi: il cappellano addetto è equiparato a un tenente e percepisce una retribuzione annua lorda di 51mila euro, il cappellano di complemento ha i gradi di sottotenente e arriva a 37mila euro lordi all’anno.

Complessivamente in organico ci sono 162 preti-soldato, per una spesa annua per le casse dello Stato di oltre 11 milioni di euro.

SONO CHIARE quindi le ragioni per cui le gerarchie ecclesiastiche si sono sempre opposte alle proposte di smilitarizzazione dei cappellani, che vengono avanzate da decenni da parte dei gruppi cattolici pacifisti e di base, i quali non chiedono l’abolizione dell’assistenza spirituale dei soldati (che potrebbe essere svolta dalle parrocchie vicine alle caserme), ma solo di strappare le stellette e i gradi dalle talari dei preti, ovvero di rinunciare all’inquadramento nella struttura delle forze armate: economiche, ma anche prestigio e potere, che le insegne militari indubbiamente conferiscono.

Proprio la rinuncia ai privilegi e al potere è uno dei punti evidenziati dalle associazioni che hanno scritto a Parolin e Zuppi, richiamandosi al Concilio Vaticano II: «La Chiesa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede», si legge nella costituzione conciliare Gaudium et spes, ma «essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni».

«Capellani sì, militari no», esortava don Tonino Bello. Papa Francesco, sempre in prima linea a denunciare le guerre e il riarmo, non è mai stato particolarmente sensibile al tema dei cappellani militari. Chissà se ora cambierà idea.