Oltre cinque milioni di membri, la National Rifle Association, NRA, è molto più che la potente lobby dei detentori di armi da fuoco e della filiera dei loro imprenditori e commercianti. La NRA è un «partito» nel Partito repubblicano. Lo finanzia, lo condiziona, gli detta le leggi da sostenere e indica quelle da avversare. Contribuisce in modo spesso decisivo a scegliere i candidati a elezioni e a cariche pubbliche, compresa quella del presidente degli Stati Uniti.

I suoi iscritti sono militanti convinti e zelanti, fanatici che vigilano sui «loro» politici perché attuino e portino avanti coerentemente la linea del «partito della NRA». Trump ne è il leader riconosciuto. Infatti, sceglie proprio la convention dell’associazione, a Houston, a tre giorni dell’eccidio nella scuola elementare di Uvalde, per lanciare la sua sfida a Biden, alludendo chiaramente all’intenzione di ricandidarsi nel 2024. «Quando sarò presidente per la seconda volta, mi occuperò di eliminare il male», dice ai delegati della NRA, un discorso di un’ora incentrato appunto sul «male», che è la vera causa di episodi come l’eccidio di 19 bambini e due insegnant.

La duecentododicesima strage di quest’anno, responsabile per Trump il «male», mica le armi da fuoco, i fucili mitragliatori, quelle anzi sono le armi del «bene» se usate per contrastare «il male», per difendersi da individui malvagi, disturbati, fuori controllo. Per Trump «’esistenza del male è una delle ragioni migliori per armare i cittadini rispettosi della legge». Le stragi, dunque, potranno consentire all’industria delle armi di produrne di più e al suo paladino, tornato alla Casa Bianca, di tutelarne la detenzione e la diffusione senza limiti. Così, nel 2022, le elezioni di medio termine il prossimo novembre, «insieme ci riprenderemo il Senato e la Camera» e poi «insieme ci riprenderemo la Casa Bianca», conclude il suo intervento alla convention NRA.

Il messaggio da Houston non è rivolto solo al nemico numero uno della platea, Joe Biden, a cui dice: «Se siamo in grado di inviare miliardi in Ucraina, possiamo anche fare tutto quello che è necessario per mettere in sicurezza le scuole», con vigilantes armati e pure bidelli e prof. armati. Il messaggio è anche indirizzato ai rivali interni, repubblicani, che qualche cedimento, peraltro insignificante, l’hanno avuto, alla pressione montante perché ci sia una qualche forma di regolamentazione almeno delle armi d’assalto, come quella usata da Salvador Ramos a Uvalde.

Significativo anche l’accenno all’Ucraina, per segnare un discrimine su cui Trump scommette, per definire la sua piattaforma politica, in contrasto con i potenziali rivali repubblicani per la prossima nomination presidenziale, anche più reazionari di lui, come Pence, De Santis, Cruz, Pompeo ma sostanzialmente in sintonia con la Casa Bianca sul sostegno a Kiev. Qualche giorno fa era stato ancora più chiaro, dopo l’approvazione alla camera di un consistente pacchetto di aiuti a Kiev, votato peraltro anche dalla maggioranza dei parlamentari repubblicani: «I democratici inviano altri quaranta miliardi di dollari all’Ucraina, eppure i genitori americani devono addirittura lottare per dar da mangiare ai loro figli». Si trattava dell’improvvisa scarsità di latte in polvere per l’allattamento, una questione diventata una sorta d’emergenza nazionale proprio mentre la Casa bianca era maggiormente impegnata sul fronte internazionale.

Quale sia il nesso tra le due vicende, è solo nella testa di Trump, ma il suo messaggio è chiaro: gli aiuti all’Ucraina e il sempre maggiore coinvolgimento militare, con l’invio di armi sempre più sofisticate, come i razzi MLRS di lunga gittata, avranno un effetto boomerang. E sì, la «fatica» della guerra si fa sentire già, in America, e se di qui a novembre non si vedrà qualche risultato, Trump martellerà con più decisione sul tema, mettendolo di volta in volta in connessione con problemi domestici che colpiscono le tasche, ma anche semplicemente le aspettative, della classe media, dei tanti americani che seguono sempre più distrattamente le guerra in Ucraina e con crescente ansia l’aumento del costo della vita.

L’intervento alla convention della NRA conferma il notevole attivismo dell’ex-presidente, non solo lungo il percorso della futura sfida presidenziale ma anche nel sostegno a suoi fedelissimi nelle candidature alle prossime elezioni per il congresso e alle cariche statali. Qui Trump deve registrare diversi contraccolpi, con alcuni suoi candidati messi fuori gioco, come in Georgia, con la pesante sconfitta del trumpiano Perdue nelle primarie repubblicane, segno che la sua corsa presidenziale è lastricata d’insidie.
La sua stessa capacità di raccogliere fondi sembra appannarsi, ma è davvero considerevole, con una media 202.185 dollari al giorno di donazioni, da 324.185 di settembre. Resta tuttavia un livello impossibile da raggiungere da qualsiasi altro sfidante nelle primarie repubblicane, sempre tenendo conto che la contesa è ormai definitivamente in campo trumpiano, tra il Trump reale e sfidanti che competono sul suo stesso terreno ideologico, il cosiddetto Make America Great Again (Maga).

Biden e i suoi strateghi sono consapevoli del rischio enorme in arrivo, con il voto di medio termine, che intendono per questo trasformare da referendum di metà mandato sul presidente, come normalmente avviene, in un referendum sul rischio per la democrazia costruito dal “Maga” di Trump. Un rischio di libanizzazione, per dirla con Thomas Friedman: «Nei miei anni di esperienza formativa nel giornalismo in Libano, negli anni Settanta, ho visto i politici libanesi far affondare la loro fragile democrazia in una protratta guerra civile. Non ditemi che non può accadere anche qui».