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Le ambiguità alimentano lo «sconcerto» del Pd

Una manifestazione del PD foto AnsaUna manifestazione del Pd – foto Ansa

Commenti La rissa nel partito nasce dalla poca chiarezza su tutto: guerra in Ucraina, autonomia differenziata, Pnrr. E dalla incapacità a prendere le distanze dagli errori fatti al governo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 luglio 2023

L’editoriale di Micaela Bongi domenica scorsa mette il dito nella piaga della frammentazione interna al Pd. Una frammentazione così spinta da indurre la neo vicedirettrice a scrivere, con sconcerto, che, anziché fare opposizione al governo più a destra della storia della Repubblica, amici e compagni del Pd preferiscono passare il tempo a prendersi reciprocamente «a mazzate». Una riflessione pienamente condivisibile, alla quale vorrei provare ad affiancare qualche considerazione sulla mancanza di chiarezza nella linea politica del Pd a guida Schlein, di cui la rissosità che continua a dilaniare il Pd mi pare sia solo la conseguenza finale. Prendiamo tre questioni-chiave nella congiuntura politica attuale.

Prima questione: lo sviamento dei fondi del Pnrr a favore della produzione di armi e munizioni (vale a dire, l’anteposizione della guerra a qualsiasi altra priorità politica). Qual è la posizione del Pd? Quella contraria espressa nel Parlamento italiano o quella favorevole assunta nel Parlamento europeo? Da potenziale elettore – lo dico brutalmente – il mio interesse per le logiche di posizionamento tattico interno alla famiglia dei socialisti europei è pari a zero. Quel che m’interessa sapere è qual è la posizione di un partito che si presenterà alle prossime elezioni europee su una questione – la guerra in Ucraina – da cui dipendono i destini dell’Europa. Ebbene, quale sia questa posizione non è dato saperlo: il Pd ha sostenuto una cosa e il suo esatto opposto. Votarlo, significa rilasciare alla sua dirigenza una delega in bianco. Perché mai una persona che vorrebbe realizzata l’una o l’altra posizione dovrebbe farlo?

Seconda questione: il finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Su questo il Pd ha recentemente assunto una posizione netta: «destinare almeno il 7,5% del Pil al Fondo sanitario nazionale», contro il 6,2% attualmente previsto dal Def. Finalmente, verrebbe da dire. Ma, anche qui, è difficile evitare di porsi una domanda. Chi ha deciso la riduzione del finanziamento per la salute al 6,2% del Pil contro cui giustamente si scaglia oggi il Pd? L’attuale Governo Meloni con il ministro Schillaci? Purtroppo, no. A farlo è stato l’ex governo Draghi, sostenuto dal Pd, con il ministro Speranza recentemente riaccolto nel partito da Elly Schlein. A cosa credere, dunque? Alle parole pronunciate dai banchi dell’opposizione o alle azioni compiute dai palazzi del governo? Ambiguità sul punto non sono ammissibili. Se il Pd vuole essere credibile nelle promesse elargite dall’opposizione deve prendere apertamente le distanze dalle scelte compiute quando ha avuto responsabilità di governo (discorso analogo vale per il fisco, essendo il Pd coautore dell’attacco alla progressività compiuto dal governo Draghi con la riduzione delle tasse ai ricchi.

Terza questione, quella alla base dell’ultima rissa: l’autonomia differenziata. Benissimo venga, naturalmente, la manifestazione di Napoli dei giorni scorsi. Ma, di nuovo, si tratta di una presa di posizione credibile? Perché lo sia il Pd non può continuare a eludere la questione dell’origine dell’autonomia differenziata. Il cuore del problema è Calderoli? Sappiamo tutti che non è così. Calderoli è solo l’ultimo arrivato. A precederlo è stato un insieme di elementi che muove dalla riforma del Titolo V realizzata dall’Ulivo nel 2001 (la Costituzione del 1948 non prevedeva l’autonomia differenziata), prosegue con lo sdoganamento delle provocazioni di Veneto e Lombardia grazie alla richiesta di differenziazione dell’Emilia Romagna guidata dal Pd (e con ai vertici, in qualità di vicepresidente, la stessa Elly Schlein) e giunge a compimento formale con le pre-intese firmate, per conto dello Stato, dal governo Gentiloni (una sorta di monocolore Pd) nel febbraio 2018.

La segretaria del Pd vuole convincerci della serietà della sua presa di posizione odierna? In questo caso ha la possibilità di farlo senza che residui alcuna ambiguità: prenda pubblicamente posizione, a nome del partito, chiedendo all’Emilia Romagna di rompere l’asse che attualmente la lega alle leghiste Veneto e Lombardia e di rinunciare a ogni richiesta di differenziazione. Schierarsi contro il regionalismo differenziato nel contempo alimentandolo con le richieste provenienti dalle regioni che si governano (anche Campania, Puglia e Toscana hanno chiesto di avviare le trattative) è solo l’ennesima ambiguità che scredita il Pd e, inevitabilmente, offre alimento alla rissa che lo squassa dall’interno.

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