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La rimozione del Pd sul lettino psico-politico

Elly Schlein foto LaPresseElly Schlein – foto LaPresse

Commenti Per Massimo Recalcati - per lui Renzi era il novello Telemaco - Elly Schlein è in una esaltata fuga dalla realtà, taglia le radici riformiste del partito e rifiuta la condizione adulta

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 luglio 2023

Molti medici interessati si affannano in questi mesi attorno al Pd e, in particolare, cercano di decifrare la figura della nuova segretaria. Gli stereotipi impazzano, la pigrizia intellettuale, con alcune eccezioni, domina. Da ultimo è sceso in campo niente meno che Massimo Recalcati, il guru della psico-politica italiana, autore di bestseller in cui si dispensano a piene mani consigli e pillole di saggezza, su tutto l’universo-mondo. E allora qui la cosa si fa seria. Dalle colonne de La Stampa Recalcati ci ha offerto un contributo imprescindibile alla comprensione dei veri dilemmi esistenziali del Pd.

È inutile che politologi e analisti si affatichino a definire la famosa «identità» del Pd, quella che è stata o quella che dovrebbe essere: per il Nostro, il Pd è un soggetto afflitto da un «doppio legame», lacerato tra due anime inconciliabili, «l’anticamera della psicosi». Ed Elly Schlein, ora, sarebbe l’interprete di un’esaltata, quasi adolescenziale, fuga dalla realtà, che taglia le radici con la natura “riformista” del partito, che rifiuta una condizione adulta e matura, giungendo finanche a accogliere nuovamente nel partito quegli «ex-frondisti» che avevano osato contestare il renzismo e che ora sono descritti da Recalcati con parole sprezzanti.

Il lettore ci perdonerà se, magari impropriamente, civettiamo qui anche noi con il lessico della psicanalisi, ma ci sembra che possa fare al nostro caso. A suo tempo, Recalcati si era fatto il cantore appassionato, un vero e proprio aedo della figura di Renzi, il Telemaco della politica italiana, colui che si emancipa dal Padre e che rompe con il passato. E anche in questo articolo Renzi è ancora visto come il “significante” di un’identità culturale più ampia, oggi messa a rischio e che viene preservata da “molti dei suoi” rimasti nel partito. Con tutta evidenza, Renzi deve essere proprio stato, a suo tempo, per Recalcati, oggetto di un investimento emotivo davvero molto intenso (un forte transfert?), se poi la caduta di Renzi, e il suo abbandono del partito, hanno prodotto in lui un tale trauma, un trauma tanto profondo da indurlo oggi ad una vera e propria rimozione della realtà.

Recalcati, ad esempio, parla dello “stato comatoso” in cui il Pd fu lasciato da Bersani (il 25% dei voti, ricordiamo), ma rimuove totalmente lo stato pre-agonico in cui fu lasciato da Renzi (il 18%). Chiaramente, siamo di fronte ad una dissonanza cognitiva, ad un uso selettivo della memoria. E poi, la pretesa di essere un tuttologo tradisce Recalcati, che parla di cose di cui evidentemente non sa nulla, pontificando in modo pensoso su riformismo e massimalismo, ignorando la storia e il senso di questa divisione della sinistra novecentesca, e senza rendersi conto che, per dirla con Lacan, “riformismo” è oramai un “significante vuoto”.

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E parla “per sentito dire” anche a proposito della vittoria di Schlein: “un colpo di mano”, se pure (bontà sua, concede) legittimo: ma Recalcati ha letto qualche analisi sul voto delle primarie, sulla distribuzione territoriale (molto squilibrata) del voto dei 150 mila iscritti e sui quella del milione e passa che invece ha votato nei gazebo (in grandissima parte ex-elettori ed ex-iscritti al Pd)? Quale dei due è il “vero” partito? Chi è l’usurpatore? (Ma in questo, occorre dire, una qualche responsabilità va data anche alla Commissione nazionale che ha presieduto al percorso congressuale, che non ha comunicato ufficialmente i risultati disaggregati delle varie federazioni locali: come mai?)

Il Pd ha molti problemi, e non è detto che riesca a venirne a capo: quel che è certo è che il nuovo gruppo dirigente, tra i molti compiti che ha di fronte ha anche quello di sollecitare e organizzare il lavoro di elaborazione intellettuale necessario ad una più solida definizione della propria politica. E in questo senso speriamo che vada l’annunciato rilancio di una Fondazione di cultura politica del partito. Rimane un certo sconforto, leggendo articoli come quello di Recalcati: è questo il livello del contributo che può dare il mondo della cultura “progressista”? E’ così che gli intellettuali possono dare una mano alla ricostruzione della sinistra in Italia? Saremmo davvero messi male se così fosse. Ma, per fortuna, il quadro non è così fosco: ci sono molte forze che lavorano all’elaborazione di un pensiero critico sul presente: solo che, fino ad oggi, non incontrano la politica, non trovano luoghi e canali attraverso cui questa ricerca intellettuale possa divenire cultura politica di un soggetto collettivo. Spetta anche al partito il compito di evitare che la scena mediatica sia dominata da protagonisti tanto banali quanto pretensiosi.

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