Lazovic: «Qui non solo è inquinata l’aria ma le istituzioni che ci governano»
Serbia Intervista al co-presidente del Fronte dei verdi di sinistra (Zlf): «L’obiettivo è sconfiggere il sistema clientelare di potere e combattere le disuguaglianze esplose in aree urbane come Belgrado dove la nostra coalizione è radicata»
Serbia Intervista al co-presidente del Fronte dei verdi di sinistra (Zlf): «L’obiettivo è sconfiggere il sistema clientelare di potere e combattere le disuguaglianze esplose in aree urbane come Belgrado dove la nostra coalizione è radicata»
«La Serbia è un Paese inquinato: inquinate sono l’aria che respiriamo, e le istituzioni che ci governano». Radomir Lazovic è capolista per «Serbia contro la violenza», e co-presidente del Fronte dei Verdi di sinistra (ZLF), la terza forza politica della coalizione.
Mentre parla giocherella con una papera di gomma sulla scrivania del suo ufficio, simbolo del movimento «Non lasciamo che Belgrado affoghi», da cui è nato il suo partito. Il movimento era stato formato nel 2014 da un gruppo di cittadini uniti dalla protesta contro la speculazione urbanistica che stava convertendo il lungofiume della capitale in un’area residenziale di lusso, pullulante di grattacieli e centri commerciali.
Ogni anno in Serbia più di 10mila persone muoiono per l’inquinamento, causato, tra gli altri fattori, dalla produzione delle centrali a carbone.
Per noi lotta ambientale e lotta alla corruzione sono inscindibili. L’inquinamento è la conseguenza della mancanza di una visione politica che rimetta al centro gli interessi dei cittadini. La Serbia è un regime ibrido: sulla carta è una democrazia, ma le istituzioni, come le autorità di controllo e la magistratura, subiscono forti ingerenze da parte del partito al governo e dei suoi alleati. Per non parlare della criminalità organizzata: quattro anni fa è stata scoperta fuori da Belgrado la più grande piantagione illegale di marijuana d’Europa; il processo da allora è fermo, mentre gli investigatori sono stati intimiditi o rimossi dai loro incarichi.
Il grande obiettivo di «Serbia contro la violenza» è scalfire l’egemonia decennale di Vucic. Troppo poco per rendere il vostro programma convincente?
La coalizione comprende partiti molto diversi tra loro, ma ci siamo uniti dopo le proteste degli ultimi mesi: non succedeva da dieci anni che così tante persone manifestassero nelle strade. Finora abbiamo dimostrato di poter collaborare, anche se proveniamo da storie politiche diverse.
Uno dei minimi comuni denominatori della coalizione è quello di raggruppare partiti filo-europei. Ma il dibattito sull’adesione all’Ue si è spento da tempo in Serbia.
Il Fronte dei Verdi di sinistra è a favore dell’entrata nella casa europea, ma non pensiamo che Bruxelles debba risolvere i nostri problemi. L’obiettivo è sconfiggere il sistema clientelare di Vucic, e combattere le disuguaglianze che in posti come Belgrado stanno esplodendo: l’inflazione ha toccato il 15% ma molti cittadini non guadagnano più di 500 euro al mese, e sono vittima della crisi abitativa. I prezzi degli affitti sono schizzati alle stelle con l’arrivo di 100mila russi dallo scoppio della guerra in Ucraina. Non è un caso che la nostra coalizione sia radicata soprattutto nella capitale: qui abbiamo buone chance di vincere.
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