«Nel novembre 2023, il professore per diritti umani Jon Yorke ed io abbiamo presentato un reclamo formale alle Nazioni unite, visto che gli Stati Uniti sin dal 1988 hanno ratificato la “Convenzione contro la Tortura, altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. La nostra preoccupazione si concentrava sul grave rischio che l’uso di gas azoto per le esecuzioni potesse portare a una morte violenta. Si tratta di un gas asfissiante, inalato nella sua forma pura non provoca perdita di coscienza, ma è la versione in forma gassosa di un ginocchio sul collo», dice il dottor Joel Zivot.

E così è stato. La sera del 25 gennaio scorso l’esecuzione di Kenneth Smith, il primo condannato a morte al mondo ad essere giustiziato tramite l’asfissia da azoto, non è apparsa indolore. Una tortura durata più di 20 minuti: «Smith si è contorto e convulso sulla barella. Faceva respiri profondi, il suo corpo tremava violentemente e gli occhi gli si giravano dietro la testa» ha scritto il giornalista Marty Roney, che ha assistito all’esecuzione.

JOEL ZIVOT è medico e professore associato di anestesiologia e chirurgia all’Emory University di Atlanta, in Georgia. Negli anni la sua voce si è levata, spesso in solitaria, contro l’uso della medicina nella pena capitale. L’aveva detto anche stavolta, da mesi, che qualcosa sarebbe andato storto. «Lo Stato, dopo aver prodotto un cadavere, ha dichiarato che l’esecuzione è andata esattamente come previsto e l’ha persino descritta, senza ironia, come “da manuale”. Dato che nessuno al mondo ha usato questa tecnica di esecuzione, mi chiedo: dove posso trovare questo manuale?» commenta amaro Zivot, a cui lo Stato dell’Alabama non ha permesso di assistere all’esecuzione.

LE ESECUZIONI sono eventi estremamente codificati, ma seguono un protocollo che rimane in gran parte invisibile agli occhi dei testimoni esterni. Non si può assistere ai preparativi, come il momento in cui il condannato viene legato alla barella oppure, nel caso dell’iniezione letale, non si può osservare il personale medico mentre effettua l’accesso intravenoso. Nel novembre 2022 lo stesso Smith era stato punzecchiato per ben 4 ore dai boia senza che riuscissero a trovare una vena. Poi il mandato è scaduto e lo Stato ha dovuto rimandare il tutto, rendendolo il primo sopravvissuto ad una esecuzione. Giusto il tempo di trovare un metodo alternativo, mai sperimentato prima.

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«L’Alabama – prosegue Zivot – aveva previsto che l’uso dell’azoto, somministrato attraverso una maschera, avrebbe indotto rapidamente l’incoscienza seguita da una morte veloce. I giudici hanno respinto tutti i ricorsi. Ma contrariamente a queste aspettative, le testimonianze indicano che Smith ha sperimentato convulsioni e difficoltà respiratorie per diversi minuti, con gli occhi spalancati dal terrore. Si è inoltre ipotizzato che abbia sofferto di emorragia interna e possibili episodi di vomito. E c’è molto altro che non sappiamo perché le tende sono state chiuse ben prima del decesso».

LA DURATA e le circostanze dell’esecuzione sollevano interrogativi critici sulla sua costituzionalità, visto che l’Ottavo Emendamento vieta espressamente punizioni considerate crudeli. «Determinare cosa sia crudele o meno è complicato, perché è un concetto che cambia nel tempo. Muta, al pari della società civile», prosegue Zivot. «Tralasciando le problematiche legate ai disturbi da stress post-traumatico di una persona sottoposta ad un’esecuzione per ben due volte, la misura della crudeltà in questo caso si basa solo su ciò che si può osservare esteriormente. Supponendo che le dichiarazioni dei testimoni siano accurate, e sembra che sia così, l’affermazione dello Stato che tutto è andato esattamente secondo i piani rende chiara una cosa: il suo intento era proprio la tortura».

QUALE SPERIMENTAZIONE ha come fine quello di produrre un cadavere? Perché è proprio un esperimento, quello di cui stiamo parlando. Sono anni che gli stati americani fedeli alla pena di morte si sono tuffati in una fantasiosa sperimentazione di cocktail di farmaci per l’iniezione letale. Le grandi case farmaceutiche, spinte in un angolo da un embargo dell’Unione europea contro il commercio di medicinali utilizzati nella pena capitale, hanno iniziato a ritirarsi una dopo l’altra, perché non riuscivano a garantire che i loro prodotti non venissero usati dai boia d’oltreoceano.

L’ultimo di questi, il Sodium Thiopental – il famoso Penthotal – veniva prodotto proprio in Italia dalla Hospira, che ne ha cessato completamente la produzione nel 2011. Il farmaco veniva usato sin dagli anni ‘80 come induttore di uno stato di incoscienza in un mix letale che comprendeva altri due principi attivi. «Questo medicinale – spiega Zivot – faceva parte della mia routine quotidiana di anestesista. Poi, all’improvviso, è diventato introvabile. Questo è stato l’impulso che mi ha spinto a esplorare il mondo della pena di morte. Lo Stato aveva rubato un mio strumento perché aveva bisogno di creare un metodo di esecuzione che, almeno all’ apparenza, non sembrasse crudele. Ma tutto questo, in realtà, appartiene alla medicina e dovrebbe sempre essere utilizzato solo per curare. Usare questi farmaci in questo modo, per uccidere, è l’esatto opposto della loro funzione».

BEN PRESTO altri farmaci sono spariti dalla circolazione, ma le prigioni americane, determinate a mantenere l’iniezione letale come metodo “umano” di esecuzione, si sono rivolte a piccoli produttori locali con processi produttivi spesso avvolti nel segreto. Questo cambiamento ha significativamente allungato la durata delle esecuzioni: se nei primi anni 2000 (quando in stati come il Texas governato da G.W. Bush Jr. se ne facevano anche 40 l’anno) tutto finiva in pochi minuti, oggi si assiste a esecuzioni anche di 30-40 minuti. Tanto da rendere il 2022 l’anno delle cosiddette «botched executions» – le esecuzioni pasticciate: ben 7 delle 20 esecuzioni sono state visibilmente problematiche a causa dell’incompetenza dei boia o del mancato rispetto dei protocolli, e ne hanno decretato la sospensione in Alabama, Tennessee, Idaho e South Carolina in quanto gli Stati non sono stati in grado di garantire una procedura indolore.

LA SOTTILE linea tra punizione e tortura ha progressivamente catturato l’interesse di Zivot. Analizzando oltre 200 autopsie di condannati a morte laddove era possibile ottenerne l’accesso, ha fatto una scoperta sconcertante: nell’80% dei casi i polmoni dei deceduti tramite iniezione letale presentavano un peso superiore alla norma. «Il peso dei polmoni – prosegue Zivot – era talvolta persino il doppio di ciò che mi sarei aspettato. E questo perché erano pieni di liquidi: muco e sangue. E tutto ciò accade molto velocemente quindi è probabile che la maggior parte dei condannati senta quello che sta avvenendo mentre sta morendo. Quando ho guardato tutte quelle autopsie ho riscontrato le stesse cose, in tante esecuzioni di tanti stati diversi. Ho immaginato che quando sarei andato in tribunale con quei dati mi avrebbero detto: “Grazie mille. Questi dati cambiano davvero le cose. Non lo sapevamo”. Pensavo che l’avrebbero fatta finita con le iniezioni letali. Ma, con mia sorpresa, i tribunali hanno sviato la questione dicendo “Tutte le morti sono dolorose”. E che tutto faceva parte del normale dolore che si prova quando si muore. Io da medico non ho idea di cosa significhi il normale dolore del morire».

ZIVOT CONTINUA, producendo materiale scientifico, a combattere l’uso della medicina nella pena di morte. Alla domanda se tutte queste porte in faccia lo abbiano demoralizzato alza le spalle e si rimette il camice bianco: «Questa esecuzione col gas ci ricorda dei momenti molto tragici. Quella della medicina utilizzata come braccio del potere statale è una storia antica e oscura. Non è raro che mi venga chiesto di contribuire a progettare un metodo migliore e più umano di uccidere. Ma il problema dell’iniezione letale dal punto di vista medico è che si tratta di un teatrino così efficace da ingannare anche i medici, che pensano di partecipare a una sorta di atto scientifico. Penso che la comunità medica potrebbe e dovrebbe prendere una posizione più forte per far sì che tutto questo finisca. Il fatto che tanti scelgano di rimanere in silenzio o di non impegnarsi mi mette a disagio».

 

Joel Zivot è apparso nel reportage “La Procedura” di Luigi Montebello con la collaborazione di Tommaso Javidi e Irene Sicurella, andato in onda su Rai 3 all’interno della trasmissione “Il Fattore Umano” e disponibile in streaming su RaiPlay.