L’avvoltoio Ahmadinejad vola su un debole Rohani
Iran Teheran si avvia alle elezioni del 18 giugno con un presidente dal consenso dimezzato dalle cattive performance economiche, dovute in buona parte alle sanzioni Usa. E si riaffaccia sulla capitale l'avversario più conservatore
Iran Teheran si avvia alle elezioni del 18 giugno con un presidente dal consenso dimezzato dalle cattive performance economiche, dovute in buona parte alle sanzioni Usa. E si riaffaccia sulla capitale l'avversario più conservatore
Oggi, domenica 3 gennaio, ricorre il primo anniversario dell’assassinio del generale Qassem Soleimani, ucciso da un drone statunitense nell’aeroporto di Baghdad con altri miliziani sciiti. I vertici di Teheran non avevano ceduto alla provocazione, limitandosi a lanciare qualche missile contro due basi statunitensi in Iraq.
Il vero danno collaterale dell’omicidio di Soleimani erano stati i passeggeri del volo di linea ucraino colpito, per errore, da due missili dei pasdaran l’8 gennaio 2020. Ora, le famiglie delle 176 vittime (di cui 82 iraniani e 63 canadesi) riceveranno 150mila dollari ciascuna in compensazione.
IN QUATTRO ANNI alla Casa bianca il presidente Trump è arrivato più volte sull’orlo della guerra con Teheran. I danni peggiori li ha però inferti all’economia della Repubblica islamica, mandando a monte l’accordo nucleare, varando nuove sanzioni e imponendo l’embargo al petrolio iraniano.
Così facendo, in questi quattro anni la valuta iraniana (il rial) ha perso l’85% del suo valore. Secondo l’Fmi, in Iran l’inflazione è al 34,2%, la disoccupazione è dichiarata al 16,3% ma è ben più alta perché l’ufficio statistiche di Teheran ritiene occupato colui che svolge anche solo un’ora di lavoro alla settimana.
Il sistema economico iraniano è inefficiente e la corruzione è diffusa anche ai livelli alti della dirigenza politica, tant’è che il fratello e consigliere di Rohani è stato condannato a cinque anni e la serie tv Aghazadeh, in onda su Namava (la versione iraniana di Netflix) e in voga durante il lockdown, prende di mira i figli di questa élite corrotta.
SE ROHANI non è riuscito a mettere in atto le riforme e non ha mantenuto le promesse elettorali, è stato per un insieme di fattori. La conseguenza è che l’elettorato della Repubblica islamica si è spostato a destra.
Secondo il sondaggio realizzato per telefono da IranWire tra il 22 e il 28 ottobre scorso su 1.136 iraniani al di sopra dei 18 anni, Rohani avrebbe solo il 25% dei consensi (a febbraio 2016 era al 42). Il 46% degli iraniani disapprova totalmente il suo operato, una percentuale che sale al 56 tra i laureati.
Questi dati sono rilevanti: venerdì 18 giugno gli iraniani andranno alle urne per eleggere il successore di Rohani. Secondo il sondaggio, in pole position ci sarebbe l’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad con il 37% delle preferenze. Si tratta di un dato aggregato: gode del consenso del 50% degli aventi diritto nelle aree rurali e del 33% degli abitanti delle aree urbane; a votarlo sarà il 49% di coloro che non hanno un titolo di studio universitario e solo il 19% dei laureati.
NEL SONDAGGIO, l’ex presidente Ahmadinejad è seguito con un certo distacco dal presidente del parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf, già comandante delle Guardie rivoluzionarie e sindaco di Teheran, che ha il 10% delle preferenze.
Irrilevante il peso degli altri candidati: Saeed Jalili, ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale (3% delle preferenze); l’ex presidente del parlamento Ali Larijani (2%); e il politico riformatore Mohammadreza Aref (2%).
Oltre ai sondaggi, dovremo tenere conto del ruolo del Consiglio dei Guardiani, che ha il potere di squalificare i candidati indesiderati, e dell’affluenza alle urne.
Sinonimo di legittimità delle istituzioni, l’affluenza alle urne è stimata da IranWire al 44%, una percentuale bassa che riflette la convinzione di buona parte degli iraniani di non poter contribuire, con il voto, a risolvere i problemi del paese.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento