Dopo avere proposto il ritorno ai voucher, cioè lo strumento che aumenta la precarietà e moltiplica il lavoro nero, per aumentare il tasso di occupazione stagionale nei settori più a rischio di precariato e lavoro nero (agricoltura, ristorazione e turismo, ad esempio) ieri la Lega con il suo ministro del turismo Massimo Garavaglia ha rilanciato la campagna contro il cosiddetto «reddito di cittadinanza»: il provvedimento varato quando la Lega era al governo solo con il Movimento 5 Stelle, scambiandolo con la fallimentare «quota 100».

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Tra la conferenza programmatica leghista «È l’Italia che vogliamo» e l’assemblea di primavera di Federalberghi a Parma ieri la proposta di Garavaglia è stata articolata in questo modo: «Il reddito di cittadinanza ha bisogno di un aggiustamento radicale, di una riforma della riforma – ha detto Garavaglia – Propongo di ragionare su un’uscita graduale da questo regime». Ora se una persona che percepisce il «reddito lavora come stagionale non glielo togliamo, glielo lasciamo al 50%, purché si lavori». Troppa grazia.

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La proposta si spiega, in generale, con l’insofferenza rispetto all’idea di un diritto fondamentale all’esistenza sia con un reddito incondizionato sia con servizi pubblici universali. Convinzione radicata anche nel populismo dei Cinque Stelle che ha concepito tale «reddito di cittadinanza» in funzione di una neoliberale «politica attiva del lavoro». Un workfare per ora riservato a 1,1 milioni su 3,7 milioni di percettori, in maggioranza fuori dal lavoro anche da anni, senza qualifiche, giovani ma in gran parte avanti con l’età. Alla base c’è l’idea dell’individualismo competitivo che scarica la responsabilità di un sistema basato sullo sfruttamento del precariato, i bassi salari, l’annientamento delle tutele sociali sulle persone ritenute «colpevoli” di «stare sul divano» e di rifiutare di lavorare in condizioni drammatiche.

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La proposta leghista di togliere il 50% di un «reddito di cittadinanza» (in media 528 euro a famiglia, dunque 264 euro medi), e obbligare il beneficiario a lavorare con contratti precarissimi, anche senza esperienza, sembra essere giustificata su un uso a dir poco disinvolto dei dati forniti, per esempio, da Vittorio Messina, presidente di Assoturismo Confesercenti. A suo dire il settore turistico in Italia mancherebbe oggi addirittura di circa 350 mila addetti. Ciò sarebbe stato dovuto agli «stop and go delle attività turistiche nel 2020 e nel 2021 e ai ritardi nell’erogazione delle casse integrazioni che hanno allontanato dal comparto molti dipendenti che hanno cercato in altri settori posizioni lavorative meno precarie».

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La spiegazione sembra plausibile in un «mercato»a pezzi. Nella proposta della Lega questo problema è stato addebitato invece al «reddito di cittadinanza», misura che potrebbe interessare solo un segmento di lavoratori stagionali non interessati dalla Naspi. In tal caso sarebbe il segno che una misura-ircocervo (né reddito di base né politica attiva del lavoro) permette di respingere i ricatti. Questo pensiero è intollerabile per le destre, e non solo. Per loro l’alternativa sembra quella di imporre il lavoro di corvée alle micro-aziende del settore. La Lega è pressata da Fratelli d’Italia, il partito che definisce il «reddito di cittadinanza» come un «metadone di Stato». Ieri il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida ha ribadito la tesi per cui il «reddito» avrebbe trasformato 350 mila italiani »occupabili» in «inoccupati o lavoratori in nero». Valutazioni approssimative presentate come «dati oggettivi».

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Garavaglia si intratterrà a un «tavolo» annunciato con il ministro del lavoro Andrea Orlando. Queste, e altre argomentazioni, saranno il palinsesto della campagna elettorale nei prossimi dieci mesi.