Non c’è alcuna certezza su dove si trovi l’autoproclamato presidente ad interim Juan Guaidó, leader sempre più screditato dell’opposizione venezuelana. La notizia che si fosse nascosto nell’ambasciata francese a Caracas, come aveva lasciato intendere il ministro degli Esteri Jorge Arreaza, è stata smentita dalla portavoce del ministero: «Il signor Guaidó non è nella residenza della Francia a Caracas».

Era stato già il presidente Maduro a riferirsi a Guaidó come «profugo della giustizia nascosto in una ambasciata», a proposito della sua «complicità» nella crisi provocata dalle «sanzioni criminali del governo degli Stati Uniti». E una conferma indiretta era venuta da Arreaza, quando, interpellato a proposito dell’autoproclamato presidente e del leader di Voluntad Popular Leopoldo López, rifugiatosi nella residenza dell’ambasciatore spagnolo dal fallito colpo di stato del 30 aprile 2019, aveva sottolineato l’impossibilità di «entrare nelle ambasciate di paesi stranieri come quelle di Francia o di Spagna, per far sì che la giustizia se li porti via con la forza».

La risposta di Guaidó, peraltro ancora mai raggiunto da un mandato d’arresto, non si era fatta attendere: «Maduro, sto dove sono sempre, con il popolo, cosa che tu non puoi fare», aveva scritto su Twitter in riferimento alla taglia da 15 milioni di dollari decisa dagli Usa per informazioni utili al suo arresto. Ma insieme al popolo Guaidó non lo si vede ormai da un pezzo.

Il suo prestigio, almeno agli occhi dei venezuelani, è caduto rovinosamente con l’infinita serie di sconfitte inanellata a partire dalla sua autoproclamazione, fino al disastro della tentata invasione per via marittima realizzata il 3 e 4 maggio da paramilitari provenienti dalla Colombia. Un’invasione che sembra portare anche la sua firma, apparsa in calce al contratto che l’uomo chiave dell’operazione, il titolare dell’impresa di sicurezza Usa SilverCorp Jordan Goudreau, sostiene di aver sottoscritto insieme a lui e a due suoi rappresentanti per l’esecuzione di un golpe contro Maduro.

Messo con le spalle al muro, Guaidó si è persino piegato ad accettare l’accordo raggiunto lunedì dal governo con una parte dell’opposizione, che impegna le parti a lavorare in maniera coordinata, e con l’appoggio dell’Organizzazione panamericana della salute, nella ricerca di risorse finanziarie per far fronte all’emergenza sanitaria. Un accordo, questo, che potrebbe aprire le porte a un’intesa più ampia in vista delle elezioni legislative che dovrebbero realizzarsi già quest’anno.

E tanto più inatteso in quanto a firmarlo è stato anche il partito Voluntad Popular, contro cui il 25 maggio il procuratore Tarek William Saab aveva rivolto l’accusa di costituire un’organizzazione criminale a fini terroristici, come indicherebbe la sua partecipazione a innumerevoli azioni golpiste e ad atti di pirateria finanziaria e di appropriazione di beni pubblici.