Laura Boldrini: «Normalizzare i rapporti con l’Egitto legittima il regime di al-Sisi»
Italia/Egitto Intervista alla presidente della Commissione diritti umani della Camera, dopo l'audizione di Leila Seif, attivista e madre del prigioniero politico Alaa Abdel Fattah: «Ho cercato i sottosegretari agli Esteri per verificare come si può intervenire, se si può sostenere la richiesta di Seif di pressione da parte dei paesi europei sul Cairo»
Italia/Egitto Intervista alla presidente della Commissione diritti umani della Camera, dopo l'audizione di Leila Seif, attivista e madre del prigioniero politico Alaa Abdel Fattah: «Ho cercato i sottosegretari agli Esteri per verificare come si può intervenire, se si può sostenere la richiesta di Seif di pressione da parte dei paesi europei sul Cairo»
Sono trascorsi 54 giorni da quando Alaa Abdel Fattah, il più noto attivista per i diritti umani in Egitto, blogger e volto di piazza Tahrir, ha iniziato lo sciopero della fame in carcere.
Quasi due mesi a digiuno perché le autorità egiziane rispondano alle sue richieste: appuntare un giudice che indaghi sulle sue denunce in merito alle violazioni commesse nelle prigioni e autorizzare la visita in carcere del console della Gran Bretagna, di cui Alaa è cittadino da pochi mesi.
A raccontare ieri la vita dietro le sbarre di Alaa è stata la madre, Leila Seif. Accademica, storica attivista egiziana, Seif è stata audita dalla Commissione diritti umani della Camera: «Ho fatto visita ad Alaa lo scorso martedì nel carcere di Wadi al Natrun dove era stato trasferito il giorno precedente dal carcere di Tora 2 del Cairo. Lì, per 32 mesi gli è stato vietato tutto, ora d’aria, libri, una radio. Il trasferimento sembra essere uno sviluppo positivo, spero che le limitazioni finiscano. Le autorità egiziane operano nell’impunità e l’Italia lo sa bene: esprimo vicinanza alla famiglia di Giulio Regeni, in particolare alla madre la cui perdita è molto peggiore della mia, spero che il dolore possa placarsi se i suoi assassini verranno portati a giudizio».
A margine dell’audizione, ne abbiamo parlato con Laura Boldrini, deputata Pd e presidente della Commissione.
Dopo l’audizione dell’attivista egiziano-palestinese Ramy Shaath, è stata la volta di Leila Seif. Quali sono gli obiettivi che vi siete posti in merito alla questione dei prigionieri politici in Egitto?
Nella nostra indagine conoscitiva sull’impegno dell’Italia a tutela dei diritti umani nel mondo non possiamo non occuparci delle persone arbitrariamente detenute e condannate solo per aver svolto attività pacifiche e legittime, a sostegno dei diritti umani o di attività politiche. In Egitto c’è il continuo ricorso alla legislazione anti-terrorismo e l’inserimento dei difensori dei diritti umani nell’elenco dei terroristi. La custodia cautelare è usata per criminalizzare gli attivisti per i diritti umani. Per questo abbiamo introdotto il tema nella nostra indagine conoscitiva. Ho già cercato questa mattina (ieri per chi legge, ndr), i sottosegretari agli Esteri Sereni e Della Vedova, per verificare come si può intervenire, se si può sostenere la richiesta di Leila Seif di pressione da parte dei paesi europei sull’Egitto perché rispetti i diritti delle persone e in questo caso specifico dei detenuti. È bene che il nostro rappresentante diplomatico sostenga la richiesta dì Alaa Abdel Fattah di incontrare il console britannico – avendo Alaa le due nazionalità- e chiedere alle autorità competenti che venga dato seguito alle sue denunce.
La testimonianza di Seif ha ridato indietro non solo il calvario di suo figlio ma quello di 60mila prigionieri politici in un paese che è stato considerato dal nostro governo un partner ineludibile.
Leila Seif ci ha messo al corrente della situazione del figlio e di come si vive in un carcere in Egitto. Lo sapevamo già ma sentirlo direttamente è molto forte dal punto di vista emotivo. Mi ha colpito la volontà di Alaa di non recedere rispetto al suo impegno. Porta avanti una battaglia di principio, continua dopo 54 giorni lo sciopero della fame nonostante il trasferimento a Wadi al-Natrun dove almeno gli hanno dato un materasso per dormire. Alaa è il simbolo di un’intera generazione di giovani egiziani che hanno messo la propria intelligenza al servizio del paese. A Tora, Alaa era costretto a dormire a terra. Non concedere un materasso, non consentire di vedere la luce e di fare movimento, di leggere libri o di avere una radio dimostra come il regime egiziano si sia accanito su di lui.
Lei è da tempo una delle voci più attive in parlamento nella critica all’Egitto di al-Sisi. È una consapevolezza che ritrova nel suo partito, il Pd?
Da tempo dico che non si devono normalizzare i rapporti con il regime egiziano. Penso sia un errore fare accordi commerciali e ancora più grave dargli armi perché questo legittima un regime che si rifiuta anche di collaborare sull’omicidio dì Giulio Regeni. La procura di Roma ha fatto nomi e cognomi di membri degli apparati dello stato ma non si riesce ad andare avanti perché non vengono resi noti i domicili a cui recapitare la notifica del processo. È un comportamento del tutto privo di rispetto verso il nostro paese. Come può questo andare di pari passo con le buone relazioni commerciali? Come si può non vedere una contraddizione tra questo atteggiamento di chiusura e noncuranza da parte delle autorità egiziane e la sponsorizzazione dell’Expo delle armi in Egitto? Per me è una contraddizione inconciliabile che non facilita la verità sul caso Regeni e che non mette pressione sul regime egiziano perché migliori la situazione dei diritti umani. È come se l’abuso dei diritti umani non incidesse sulle relazioni internazionali, come de fosse secondario. Come ha detto la professoressa Seif, a mio avviso, il governo italiano non dovrebbe continuare negli scambi commerciali e la vendita di armi.
Eppure né dall’Italia né dall’Europa giungono azioni concrete. Nessuna sanzione né interruzione dei rapporti commerciali, come sottolineava Seif, spesso gli unici strumenti per fare pressione, come mostra l’invasione dell’Ucraina.
Ci deve essere una mobilitazione europea nel caso dell’Egitto e invece si agisce come se i diritti umani siano irrilevanti, come non fossero una parte importante delle politiche estere. È un errore sul medio e lungo periodo avere a che fare con i dittatori, come abbiamo visto in Russia, ed è una scelta che svilisce l’autorevolezza dei paesi che lo fanno. Le sanzioni andrebbero applicate anche ai regimi che calpestano i diritti umani. Questo deve essere un motivo sufficiente per rivedere i rapporti commerciali, le politiche dei visti e altri ambiti.
Il governo è pronto a farlo?
Mi auguro che il governo su questo caso cerchi di spendersi. Dopo questa audizione, spero ci sia l’interesse a fare pressioni sull’Egitto in merito alle legittime richieste di Alaa. Così come sarebbe auspicabile anche che la Ue recepisca il principio che sui diritti umani non si può soprassedere, abbiamo già visto che è un esercizio azzardato e controproducente.
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