Dal due aprile l’attivista e scrittore egiziano Alaa Abdel Fattah è in sciopero della fame. La motivazione che ha spinto la principale voce dissenziente dell’Egitto contemporaneo a tale protesta va rintracciata nella sentenza del 20 dicembre 2021 del tribunale per lo stato di emergenza per i reati minori di New Cairo.

A seguito dell’accusa di «diffusione di notizie false che ledono gli interessi del Paese», Alaa è stato condannato a cinque anni di reclusione in cui non sono stati compresi i due anni di custodia cautelare già trascorsi, come testimonia un documento recapitato alla famiglia il 21 febbraio, portando così il suo fine pena al 3 gennaio 2027.

La non impugnabilità della sentenza ha condotto l’intellettuale alla drastica decisione dello sciopero. La notizia è giunta direttamente dalla famiglia, attraverso un comunicato congiunto delle due sorelle Mona e Sanaa Seif, diffuso nei loro profili Facebook e Instagram.

È stato lo stesso Alaa a informare della sua decisione la sorella Mona nell’ultima visita ricevuta nel carcere di Tora Maximum Security 2, avvenuta sabato due aprile. Visite che da tempo gli sono state ridotte a una ogni trenta giorni, per una durata massima di venti minuti e un solo familiare alla volta.

Il detenuto ha inoltre presentato due richieste, regolarmente recapitate dalla famiglia con una relazione ufficiale al pubblico ministero il cinque aprile, in cui chiede in veste di cittadino egiziano che venga incaricato un giudice che indaghi sul suo sequestro del settembre 2019, e in veste di cittadino inglese che possa ricevere visita da parte del Consolato britannico.

Qui è il cambio di passo che si spera possa portare a una svolta positiva della sua vicenda: sia le sorelle che lui hanno di recente ottenuto la cittadinanza inglese, circostanza resa possibile dai natali londinesi della madre Laila Soueif.

Nella nota informativa che Mona e Sanaa, attiviste anche loro, hanno fatto circolare, sottolineano come non abbiano mai esercitato il loro diritto alla doppia cittadinanza fino al 2019, anno in cui il trattamento riservato alla loro famiglia da parte dal governo capitanato da al-Sisi si è mostrato in tutto il suo accanimento.

Il ricorso ai diritti che conseguono dal doppio passaporto non sono una novità nella lotta libertaria portata avanti dagli attivisti sulle sponde del Nilo, come testimonia la scarcerazione avvenuta il sei gennaio dell’attivista egiziano-palestinese Ramy Shaath, che ha così recuperato la libertà dopo oltre novecento giorni di detenzione.

Strategie e cavilli burocratici possono risultare utili al raggiungimento dell’obiettivo finale, come spiega Paola Caridi, esperta di mondo arabo, saggista e co-fondatrice di Lettera 22, che conosce a fondo la situazione di Alaa: «La questione di fondo è difendere Alaa, i suoi diritti di persona e di cittadino. E se l’Egitto non lo salvaguarda in quanto cittadino egiziano, e al contrario lo perseguita, allora deve essere difeso in quanto cittadino britannico. Le sorelle di Alaa, lo spiegano in maniera puntuale via social, uno dei pochi luoghi dell’informazione attraverso i quali abbiamo notizie della condizione in cui versa Alaa Abd-el Fattah, prigioniero di coscienza da ormai otto anni».

«Alaa cittadino britannico può avere, per esempio, accesso ai suoi legali inglesi, visto che il suo avvocato egiziano, Mohammed Baqer, è in carcere per aver esercitato il diritto/dovere a difendere il suo cliente. È triste che Alaa tenti di essere protetto, nei suoi diritti primari, in quanto cittadino di un paese europeo, da un paese che ha un peso specifico a livello globale».