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Egitto, 250 arrestati allo stadio. Cantavano cori per la Palestina

Egitto, 250 arrestati allo stadio. Cantavano cori per la Palestina

Egitto Rilasciati il giorno dopo, tra loro tanti minori. Sugli spalti Il Cairo vieta i colori palestinesi. Al-Sisi teme che le proteste per Gaza riaccendano il dissenso contro il regime

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 19 giugno 2024

Circa 250 tifosi, molti di loro adolescenti, sono stati arrestati venerdì dalla polizia egiziana dopo aver fatto dei cori allo stadio in solidarietà con la Palestina. I ragazzi erano arrabbiati per la notizia dell’arresto di un tifoso del Al-Ahly che aveva osato sventolare la bandiera palestinese durante la partita della sua squadra ad Alessandria.

ARRESTATI allo stadio dopo la partita contro il Farco, i tifosi sono stati rilasciati il giorno dopo. Altri non sono così fortunati. Mentre scriviamo, almeno 95 egiziani restano in prigione da ottobre scorso per aver preso parte a delle proteste per Gaza, secondo gruppi locali per i diritti umani.
L’Egitto è attualmente governato da Abdel Fattah al-Sisi, l’ex ministro della Difesa che nell’estate del 2013 ha preso il potere con un colpo di stato militare contro il primo presidente democraticamente eletto del Paese. Nel corso di un decennio, ha governato con pugno di ferro, represso qualunque forma di dissenso, smantellato i sindacati indipendenti, le organizzazioni giovanili, e imprigionato decine di migliaia di persone. In preda della paranoia per un’altra ondata di proteste popolari come quelle che hanno rovesciato il dittatore Hosni Mubarak nel 2011, al-Sisi e i generali hanno istituito un regime ancor più repressivo.

Il nuovo regime ha preso di mira le associazioni dei tifosi di calcio, i cui membri più giovani hanno preso parte attiva alla rivoluzione. Molti sono stati uccisi, arrestati o torturati dalle forze di sicurezza. Tutte le associazioni ultras sono state dichiarate «entità terroristiche» nel 2015. Le partite di calcio locali si giocavano in stadi vuoti, senza tifosi.

NEGLI ULTIMI ANNI, il regime ha consentito l’accesso alle partite a poche migliaia di persone, anche se prima devono fare un documento d’identità elettronico in modo che le autorità possano tracciarli con semplicità. Tutti i canti sono seguiti da pronti arresti dentro gli stadi, effettuati da agenti in borghese.
Con lo scoppio della Guerra a Gaza lo scorso ottobre, fra l’Egitto e i suoi alleati regionali ha iniziato a crescere il nervosismo per un possibile allargamento del conflitto, che destabilizzerebbe ulteriormente la regione. Il Fondo monetario internazionale, l’Unione europea e gli stati del Golfo arabo si sono affrettati a salvare il regime economicamente disfunzionale di al-Sisi con oltre 57 miliardi di dollari versati dall’inizio del 2024. Sul piano interno, al-Sisi ha represso le proteste spontanee nelle strade egiziane e nei campus universitari.

Negli stadi di calcio, gli ultras hanno regolarmente manifestato la loro solidarietà con i palestinesi. Cori per Gaza e contro Israele hanno fatto rimbombare gli stadi, insieme a slogan in supporto delle campagne del Bds. Le autorità di controllo degli stadi hanno ammonito ripetutamente che gli slogan “politici” non sono consentiti. I tifosi vengono perquisiti all’ingresso, le bandiere palestinesi confiscate. Anche le sciarpe con i colori della Palestina sono proibite. Le bandiere che si riesce a far entrare di nascosto dentro gli stadi vengono sequestrate seduta stante appena qualcuno le tira fuori, e chi le ha portate viene arrestato.

Questa repressione è il risultato dell’avversione del regime per le organizzazioni politiche fra le masse, specialmente se riguardano la Palestina. La causa palestinese, da generazioni, è sempre stata il fattore di radicalizzazione principale fra i giovani egiziani. La sollevazione del 2011, per esempio, è il frutto di un processo di accumulazione del dissenso durato decenni, e innescato dalle manifestazioni di protesta esplose in Egitto durante la Seconda intifada. Nel pieno del deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, al-Sisi teme che la Palestina possa riaccendere il dissenso contro il regime nelle strade e nelle arene sportive.

GLI AVVOCATI per i diritti umani stimano che la popolazione incarcerata raggiunga circa 60.000 persone. Le condizioni carcerarie sono precarie, e la tortura è sistematica. Sin dal principio del 2024, almeno 22 persone sono morte in questura o in prigione.

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