L’asse italo-birmano
Myanmar Sette mesi dopo il golpe, il dittatore Min Aung Hlaing annuncia la riapertura di un’acciaieria. E l’ italiana Danieli registra una società nel paese, colpito da sanzioni. Servirà ai generali?
Myanmar Sette mesi dopo il golpe, il dittatore Min Aung Hlaing annuncia la riapertura di un’acciaieria. E l’ italiana Danieli registra una società nel paese, colpito da sanzioni. Servirà ai generali?
C’è un piccolo giallo che riguarda un’importante azienda italiana che opera in Myanmar da diversi anni e che sembrerebbe aver chiuso le attività dopo il golpe per riaprirle registrando nuovamente lo stesso brand.
Un giallo perché guardando le fonti aperte, risultano in effetti due indirizzi a Yangon (Aye Yeik Thar 1 Street e Pyi Thar Yar St) che sono distanti una passeggiata di 15 minuti a piedi nel centro dell’ex capitale.
IL MISTERO si infittisce quando chiediamo lumi all’azienda – la Danieli – che ci risponde laconicamente che a breve fornirà un chiarimento. Mai arrivato. Il giallo aumenta guardano la lista Danieli delle sue sussidiarie in Asia: nessuna sede risulta in Myanmar.
La Danieli, colosso nazionale dell’ingegneria, della robotica e del settore minerario è una multinazionale con sede a Buttrio (Friuli) ed è una delle leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici.
Con qualche miliardo di fatturato, quotata in borsa, è una società che non nasconde la velleità di posizionarsi tra le prime aziende italiane del settore: Giacomo Mareschi, Chief Executive Officer del gruppo, nell’ottobre del 2021 aveva dichiarato che, con un utile di oltre 80 milioni nell’anno, puntava a un fatturato «di 4 miliardi entro due».
IL FATTO È che ci sono una serie di strane coincidenze su cui sarebbe stato utile avere chiarimenti dall’azienda. A fine agosto 2021, a sette mesi dal golpe militare di febbraio, il capo dell’esercito e del governo generale Min Aung Hlaing annuncia la riapertura dell’acciaieria Myingyan.
Circa un mese dopo, il 24 settembre, pur avendo già una filiale in Myanmar, Danieli registra una nuova società estera nel Paese con un nome che poco si discosta dal brand della vecchia (che sembrerebbe inattiva essendo il Myanmar sottoposto a sanzioni). Qui sta l’interrogativo.
È insolito per un’azienda già registrata tirarne in piedi un’altra nello stesso posto. Le voci raccolte tra la dissidenza birmana sostengono che il governo militare non possa aprire l’acciaieria di Myingyan senza l’assistenza di Danieli, che possiederebbe competenze e attrezzature nel sito in questione.
LA NUOVA registrazione coinvolge direttamente i massimi vertici dell’azienda: Giacomo Mareschi e Alessandro Brussi, che sono gli unici due nomi in chiaro (altri sono segnati solo col nome di battesimo). Le carte dicono che la nuova registrazione di settembre è stata fatta al Directorate of Investment and Company Administration (Dica).
Sono dati abbastanza inconfutabili visto che provengono dallo stesso database utilizzato da un Paese terzo per imporre le sanzioni e che il manifesto ha potuto vedere. Per altro proprio martedì, Italia-Birmania Insieme chiederà lumi in Parlamento sull’operato della Danieli in Myanmar.
Per ora, a una lettera indirizzata a Di Maio dall’associazione italo birmana in cui si chiedevano chiarimenti sulla Danieli, il segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi, ha risposto parlando di tutto fuorché della società italiana e delle sue attività in Myanmar, forse semplicemente per il fatto di non conoscerle.
IN UNA LETTERA inviata da Italia-Birmania Insieme alla senatrice Stefania Craxi, Presidente delle Commissione Esteri del Senato e a Piero Fassino della Commissione Affari Esteri della Camera – per l’incontro di martedì – si nota che la «gravissima invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le sue ripercussioni umanitarie, politiche, economiche e sociali e prima ancora la fuoriuscita dall’Afghanistan, hanno cancellato dalle agende internazionali le pesantissime ripercussioni del colpo di stato militare in Myanmar, sostenuto da Cina e Russia, accettando l’inadeguatezza strutturale dell’Asean (associazione del Sudest asiatico, ndr) nella gestione del negoziato diplomatico, basato sull’accordo in 5 punti siglato con la giunta, nell’aprile 2021».
L’associazione nota che «in questo assordante silenzio si è arrivati alla approvazione, il 3 giugno scorso, dell’ordine di esecuzione delle condanne a morte per impiccagione, nei confronti di quattro dissidenti, tra cui l’ex parlamentare della Lega Nazionale per la Democrazia Ko Phyo Zeya Thaw e l’attivista per la democrazia Ko Jimmy, veterano del movimento 88 Generation, per le loro attività contro il regime».
EPPURE, come sottolineato dalla Commissaria Onu Michelle Bachelet alla presentazione del recente Rapporto Onu sulla violazione dei diritti umani in Birmania/Myanmar: «I militari hanno attuato sistematiche violazioni dei diritti umani, molte delle quali ammontano a crimini di guerra e contro l’umanità».
E ancora: «La spaventosa ampiezza e portata delle violazioni del diritto internazionale subite dal popolo del Myanmar richiedono una risposta internazionale ferma, unificata e risoluta».
Dall’inizio del colpo di stato sono 14.032 i dissidenti nelle carceri birmane, spesso torturati o stuprati. Sino ad oggi sono stati assassinati dai militari birmani 1.910 civili, molti dei quali attraverso vere e proprie esecuzioni, e 114 dissidenti sono stati condannati alla pena capitale.
Solo nel mese di aprile scorso – ricorda ancora l’associazione gemellata con l’opposizione birmana – sono state distrutte dai militari birmani oltre 750 abitazioni civili e la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno, senza che vi sia alcuna iniziativa politica credibile, volta a riportare il Paese sulla strada per la democrazia.
LA LETTERA si conclude con un appello. «Vi chiediamo di adottare finalmente una risoluzione urgente volta a far sì che il governo italiano e l’Europa tutta si attivino per una azione diplomatica e sanzionatoria, che superi lo stallo della attuale gestione fallimentare Asean e che impedisca innanzitutto l’esecuzione dei quattro dissidenti, che – come sottolineato dalla portavoce Onu Stephane Dujarric – è in palese violazione del diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona di cui all’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo».
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