Se nell’asettico linguaggio diplomatico la parola «preoccupazione» per quanto avviene nel Mar Cinese di Taiwan è di casa in tutte le cancellerie, c’è chi è più preoccupato di altri.

Sono i ministri degli Esteri dell’Asean, l’associazione regionale di dieci Paesi del Sudest asiatico che da tempo si barcamena tra Cina e Stati uniti.

IN UNA DICHIARAZIONE congiunta hanno messo in guardia su sviluppi che potrebbero «destabilizzare la regione» e potrebbero portare a errori di calcolo, scontri e conflitti aperti con «conseguenze imprevedibili tra le principali potenze».

Nel fare appello alla «massima moderazione» l’Asean esorta le parti ad astenersi da azioni provocatorie mettendo comunque in chiaro che i ministri restano dell’idea che la Cina è una, quella «One China» che, nonostante il viaggio di Pelosi, gli Usa rispettano.

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Ma il fuoco e le fiamme si potrebbero vedere oggi: nella settimana di lavori del 55imo summit dei ministri degli Esteri dell’Asean sono stati invitati anche altri capi della diplomazia mondiale e i pezzi da novanta sono già arrivati ieri a Phnom Penh, capitale della Cambogia che ha la presidenza di turno del club asiatico.

C’è Antony Blinken per gli Usa e c’è il suo omologo cinese Wang Yi che proprio da Phnom Penh sta lanciando strali verso Washington. Ma c’è anche Sergey Lavrov che i suoi strali anti americani li ha lanciati dal Myanmar dov’era mercoledì in visita ufficiale.

UNA VISITA che i ministri Asean avrebbero preferito in un altro momento: il dossier birmano era uno dei tre spinosi nodi in agenda prima che l’asteroide Pelosi si abbattesse sul loro pianeta.

Col rischio, come avvenuto nel G20 di Bali il mese scorso, che di tutto si parli tranne che degli argomenti in agenda. Per ora si sa che nessuno dei tre ministri ha previsto incontri bilaterali, se si esclude il fatto che Cina e Russia, essendo alleati, sicuramente si parleranno a quattrocchi.

Ben prima del viaggio della Pelosi il Mar Cinese meridionale, una serie di isolette e di atolli, era comunque uno dei nodi cruciali che non solo sta a cuore ad alcuni Paesi Asean e alla Cina ma che è anche uno dei motivi per cui quel mare è fortemente militarizzato sia dai cinesi sia dagli americani.

SECONDO LA STAMPA vietnamita, mercoledì i ministri degli Esteri Asean hanno concordato di proporre alle parti interessate di risolvere la questione (proprietaria) con misure pacifiche sulla base delle leggi vigenti.

È soprattutto il pensiero di Hanoi cui la Convenzione Onu sul diritto del mare ha già dato ragione. Poi in agenda c’era il dossier Timor Est, il piccolo Paese che vorrebbe entrare nel club ma che per ora resta alla porta. Tra l’altro non è piaciuto che Dili si sia astenuta l’anno scorso (con Phnom Penh) da una risoluzione Onu di condanna della giunta birmana, forse sperando di guadagnarsene i favori per l’ingresso.

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Ma al summit di Phnom Penh i militari birmani non sono stati nemmeno invitati e l’Asean sta ripensando la sua strategia verso il Myanmar. Strategia finora piuttosto debole mentre a rafforzare i generali (e i loro arsenali) ci ha appena pensato Lavrov.