Larghi o stretti restano «campi» senza identità
Nel dibattito politico italiano, mancano non solo i grandi temi del nostro tempo, ma anche istanze forti che definiscano gli schieramenti e i partiti.
Molte responsabilità vanno ai media, ma l’origine di questo vuoto è la mancanza di una visione del mondo e dell’Italia tra le forze politiche principali.
Iniziamo dai partiti di governo. Come definire Fratelli d’Italia? Si definisce, ed è definito mediaticamente, come partito sovranista e nazionalista. Ma Meloni cede all’Unione europea (e, socialmente, alle imprese) ogni sovranità sulle politiche economiche, e agli Usa ogni sovranità sulla politica estera. Per quanto riguarda il nazionalismo, a parte le uscite grottesche di Sangiuliano, non c’è il vago profilo di un’idea di cultura nazionale.
Definire la Lega è anche più difficile. Quando era Lega Nord aveva un obiettivo strategico contestabilissimo, ma esistente: la difesa e/o secessione del Nord. Diventata con Salvini una Lega nazionale di estrema destra, è rimasta priva di identità. Non è più nordista, ma se la si definisce con le stesse parole che si usano per le destre radicali, come sovranismo e nazionalismo, si finisce nella stessa vuotezza contraddittoria di Fd’I. Sotto l’affaristico Ponte sullo Stretto, non c’è più niente.
Forza Italia non va al di là della definizione di se stessa come partito liberale. Ma cosa significa liberale, a parte la riproduzione di ciò che l’Italia è già da trent’anni?
Se per singoli partiti la situazione è questa, la destra nel suo complesso mantiene però una sua riconoscibilità nell’immaginario. La serie retorica meno tasse-più sicurezza- difesa di patria, tradizione e famiglia, anche se contraddetta da una semplice prova dei fatti, la rende riconoscibile dal suo elettorato (che non aumenta).
Passando all’altro schieramento (se di schieramento si può parlare), le cose non cambiano. Ipotizziamo un M5S senza Giuseppe Conte. Cosa ne resterebbe? Nato come movimento contro i partiti per la palingenesi della politica, è un partito parlamentare di cui è difficile dire quali sono gli obiettivi strategici e il progetto di Italia. Conte lo definisce come forza progressista, ma cosa significa nel 2024?
Per quanto riguarda il Pd, le metamorfosi di leadership che ha subito negli anni, con i continui cambiamenti di profilo programmatico, rendono molto difficile dire cosa sia da un punto di vista ideologico e strategico. Resta, a definirlo, la realtà delle scelte di governo che ha fatto a livello nazionale e che fa a livello regionale e locale, contraddittorie con i discorsi della sua attuale leader. E non è detto che Schlein sia in grado di portare il complesso del partito, e soprattutto le sue scelte concrete, nella direzione del suo nuovo linguaggio. Che peraltro è fatto di parole che faticano a cucirsi in un disegno unitario, restano ambigue su piani fondamentali come quello della guerra e delle relazioni internazionali.
Il “campo largo progressista”, a livello complessivo, risulta meno riconoscibile rispetto all’area della destra.
Sul piano sociale, dagli anni Novanta i due principali schieramenti si sono divisi il lavoro più o meno in questi termini: la destra è stata garante del piccolo capitalismo italiano, quello dei commercianti, delle piccole imprese, dell’economia informale a cavallo tra legalità e illegalità, quando non illegale tout court. Il centrosinistra, con l’obiettivo di «modernizzare il Paese», è stato interprete del capitalismo delle grandi imprese e delle grandi banche, sancito dal legame con manager e imprenditori del “salotto buono” e con i loro media. La destra attuale mantiene la sua collocazione sociale. Qual è oggi quella del “campo largo”? Non è chiaro.
Il paesaggio complessivo è quello di un nichilismo politico di fondo: sfugge il senso complessivo della stessa esistenza di questi partiti. Non esistono discorsi, strategie e azioni coerenti sulle grandi questioni di fondo, attuali ed emergenti. La guerra. La ristrutturazione della distribuzione del potere e delle risorse a livello mondiale. Le condizioni di vita della maggioranza delle popolazioni. L’urgenza e le conseguenze di una vera transizione ecologica. L’evoluzione della tecnologia. Ma anche, oltre la sfera materiale, la crisi di senso che investe le società occidentali: dove stanno andando, queste società?
La politica deve contribuire alla costruzione del senso della vita collettiva, per questo è necessario avere visioni del mondo da tradurre in un progetto strategico per il Paese. Un lavoro che non fa più nessuno e che sarebbe fondamentale (ed efficace) tornare a fare, per ridare senso alla parola «politica», una delle più consunte della società contemporanea.
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