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L’architetto italiano di Putin: «Ora i russi hanno paura»

L’architetto italiano di Putin: «Ora i russi hanno paura»

Intervista Dopo la bomba di San Pietroburgo, parla Lanfranco Cirillo. A Mosca da 30 anni, amato dagli oligarchi, inseguito dalle sanzioni e da un processo in Italia

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 aprile 2023

Lanfranco Cirillo, architetto italiano residente in Russia da trent’anni e conosciuto da molti come «l’architetto di Putin» in quanto ha progettato un centro congressi sul Mar Nero che è stato indicato in un video realizzato da Navalny come residenza di Putin, e per aver lavorato per molti oligarchi vicini al leader russo. Non può lasciare il territorio della Federazione russa in seguito al procedimento giudiziario avviato nel 2022 contro di lui dal Tribunale di Brescia che lo accusa di esterovestizione, autoriciclaggio e contrabbando dopo l’istituzione delle sanzioni contro il Cremlino e i suoi sostenitori. Il suddetto tribunale aveva già disposto un maxi-sequestro da 141 milioni di euro per l’architetto italiano ma il 17 febbraio scorso la Cassazione lo ha annullato. Il 23 febbraio è iniziato il processo, in contumacia data che dall’Italia non è ancora arrivata alcuna richiesta di estradizione e Cirillo ha il passaporto sospeso, ma l’architetto non è sparito dalla vita pubblica, registra un podcast periodicamente e a breve partirà per una spedizione nell’artico con una missione russa. All’indomani dell’attentato a Vladlen Tatarsky, l’abbiamo raggiunto telefonicamente a Mosca per intervistarlo sul contesto russo a più di un anno dall’invasione dell’Ucraina che lui chiama «guerra civile».

È vero che lei conosceva Tatarsky?
Tutti conoscevano Tatarsky, era una persona molto nota in Russia. Stiamo parlando di un corrispondente di guerra seguitissimo che partiva insieme ai militari e ne raccontava la vita in trincea e le vicissitudini. Il suo blog su Telegram aveva centinaia di migliaia di follower ed era ospite fisso in diverse trasmissioni televisive. Era tra le voci più riconosciute tra i giornalisti che hanno raccontato l’operazione militare speciale. Non avevamo un rapporto diretto di amicizia ma frequentando ambienti comuni in alcune occasioni ci siamo incrociati.

Qual è il clima a Mosca dopo l’attentato?
Qui l’attentato ha colpito molto. Innanzitutto perché è il secondo dopo quello che ha ucciso Dugina commesso dai Servizi segreti ucraini con metodi violenti. Ma, mentre il primo era stato un attacco più «mirato», quello di domenica ha spaventato molto. Piazzare una bomba in un locale pubblico, in centro città e in pieno giorno è un’altra cosa. Tra l’altro il caffè era uno dei tanti di proprietà di Prigozhin, il padrone della Wagner, quello che per la stampa Occidentale è noto come il «cuoco di Putin». Mettere una bomba in un posto del genere è un’azione sconvolgente perché rientra nell’alveo del terrorismo.

Ma quindi sui media russi e nell’opinione pubblica non vi è dubbio che la responsabilità sia dei Servizi ucraini?
Non c’è alcun dubbio. È anche stata arrestata questa donna che aveva già manifestato contro l’operazione militare speciale o la guerra, chiamatela come volete, e poi ci sono le indagini in corso su chi le ha fornito il materiale esplosivo e il supporto logistico. L’hanno bloccata mentre tentava di scappare come voleva fare l’attentatrice di Dugina.

I russi parlano già della necessità di «rispondere» a quest’attentato?
Già domenica sera Solovyov (famosissimo presentatore tv russo, ndr) si è lanciato in una serie di affermazioni molto dure. Bisogna capire che qui a Mosca i residenti sono in qualche modo assuefatti alla presenza del conflitto. Anche perché la Russia sta portando avanti per la prima volta una guerra «all’americana», ovvero combattuta fuori dal proprio territorio mentre all’interno la vita scorre più o meno tranquilla, nonostante le sanzioni e il tentativo di mettere in un angolo «l’orso russo», come lo chiamano in Occidente. Per questo l’attentato è stato molto d’impatto, le notizie del fronte non sono più in prima pagina dato che il conflitto si è trasformato in una guerra di posizione, di strategia… anche se resta comunque un’enorme tragedia come ogni «guerra civile». Il pensiero che possano essere toccate le grandi città o che possa accadere qualcosa quando si esce da casa cambia molto la prospettiva.

Cosa intende con «guerra civile»?
Nella mia esperienza in Russia, dove vivo dal 1993, vivono molti ucraini, che sono totalmente integrati. Non c’è nessuna differenza. In Occidente non si capisce che ai russi interessa solo una cosa: «essere russi», per questo amano Putin, per questo le sanzioni non riescono a spezzare lo spirito della popolazione. Ormai si è arrivati in fondo a questa strategia, cos’altro possono provare a toglierci? I russi non hanno alcun bisogno di altri territori, bisognerebbe lasciare agli ucraini la loro terra e sedersi a un tavolo ora.

Se fosse vero che i russi non hanno interesse a controllare l’Ucraina, perché Putin ha deciso di indire i referendum nei 4 territori occupati?
Non si tratta di una questione geografica, ma di una questione strategica: hanno interesse che l’Ucraina sia un Paese neutrale, che non aderisca alla Nato. Una parte significativa dei russi non era favorevole all’ingresso dei militari in Ucraina, perché sono un popolo tranquillo. Ma le sanzioni (che hanno effetti contro i cittadini molto più che contro i politici), l’ostracismo dell’Occidente contro la cultura russa, la chiusura di ogni spiraglio di dialogo ha tolto ogni luce. Se nei primi mesi si poteva ricucire, ora è molto molto difficile.

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