I numeri riferiscono di una ricostruzione che va. Tredici anni dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009, L’Aquila è a due facce: da un lato si pavoneggia dei suoi palazzi rifatti, taluni agghindati da splendidi decori artistici; dall’altro mostra tanti edifici ancora avviluppati e corazzati da tubi, transenne e impalcature. Con macerie che da qualche parte fanno ancora l’occhiolino. Con famiglie che ancora stanno nelle casette, cosiddetti moduli abitativi provvisori, o in file di palazzine anonime, piccoli nuclei sorti nell’immediata periferia. Con l’allarme lanciato appena qualche giorno fa dall’Ance provinciale (Associazione nazionale costruttori edili) riguardo a disdette dei contratti nei cantieri, dovute al rincaro indiscriminato dei materiali e all’impennata selvaggia dei costi dell’energia “causati dalla pandemia prima, dalla guerra in corso poi, e da spregiudicate speculazioni e truffe”.

«E’ VERO – afferma Salvatore Provenzano, titolare dell’Ufficio speciale per la ricostruzione (Usra) dell’Aquila – che è passato tanto tempo. Ma va considerato che si tratta di un capoluogo di regione e siamo, in Italia, uno degli esempi più virtuosi. Per la ricostruzione del Friuli ci sono voluti 15 anni e i centri colpiti dal sisma erano molto più piccoli». Le cifre: 2 miliardi 373 milioni di euro il costo complessivo delle opere pubbliche da rimettere in piedi; 2 miliardi 225 milioni i lavori finanziati; 1 miliardo 527 milioni, ossia il 64 per cento del totale, sono stati già erogati. Per quanto concerne la ricostruzione privata l’importo necessario era di 8 miliardi e 364 milioni; le somme finora concesse superano i 6 miliardi 142 milioni; le pratiche presentate sono 29.837 e quelle evase 28.998. «Quindi – fa presente Provenzano – ne abbiamo istruite il 97 per cento». «L’auspicio – dice il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi – è di proseguire sulla strada della rinascita che la città e il cratere hanno imboccato a pieno. E in quelli che sono i giorni della memoria, questo racconto, di speranza, deve essere un auspicio sia per l’intero Paese che a livello internazionale».

L’Aquila, le immagini dopo il sisma. Foto Ap/Getty Images

IERI SERA LE FIACCOLE sono tornate a riempire le strade del centro. «A causa del Covid – spiega Biondi – per due anni, quelli passati, siamo stati costretti a celebrare questo momento, intimo ma anche comunitario, in ricordo delle 309 vittime, chiusi dentro casa e solo simbolicamente. La fiaccolata è dolore e raccoglimento. Un pensiero commosso è andato anche alle famiglie del Centro Italia colpite dal sisma; a quelle che hanno pianto le vittime della pandemia e di altri disastri; a quanti perdono la vita nei conflitti che ci sono nel mondo: ora quello che ci colpisce è al confine orientale dell’Europa e, per ciò, il braciere nel Parco della Memoria, a conclusione del corteo, è stato acceso da atleti della Nazionale di ciclismo Ucraina. Ragazzi che ospitiamo negli alloggi del Progetto Case, realizzate, nell’emergenza, dopo la distruzione, nemesi tra accoglienza ricevuta e accoglienza restituita». «Il dolore è ancora un fiume in piena – fa presente Maria Grazia Piccinini, avvocato di Lanciano (Ch), mamma di Ilaria Rambaldi, studentessa 25enne di Ingegneria Edile-Architettura morta, insieme al fidanzato Paolo Verzilli, sepolta sotto le macerie – che cambia colore con le stagioni, con il vento, con il sole, con la notte ma rimane là, vivo e impetuoso e travolge tutto quanto gli si oppone davanti.

Nonostante il tempo trascorso, mi sono accorta, riflettendo, che nessuno ha pagato per quanto accaduto. Civilmente ho intentato due cause, che nonostante il trascorrere del tempo, non sono ancora concluse. Penalmente si è chiuso quello che per me è stata una farsa, il processo alla Commissione Grandi Rischi, con la condanna di un solo imputato, al minimo con i doppi benefici di legge, non menzione e sospensione. Non ho potuto fare altro, dopo la sentenza, che ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per ottenere la condanna dello Stato italiano per la condotta dei suoi funzionari, ma sostanzialmente per la condotta dello Stato stesso che non protegge in alcun modo i suoi cittadini, ma li vessa e li umilia. Finora non c’è stata risposta. Se provi a telefonare a Strasburgo ti dicono che il fascicolo ce l’aveva un giudice che poi si è dimesso, poi è andato a un altro che poi adesso ce l’ha un terzo».