Il dispositivo lavora sull’angoscia condivisa che attraversa dopo trent’anni la ex-Jugoslavia nata dalla guerra civile: incontrare il proprio sniper, o lo sniper della propria famiglia, colui o colei che sono all’origine del personale trauma. Fantasma o rimosso oscuro, quasi un tabù da silenziare in una pace che, con tutta evidenza, si è fermata alla superficie senza affrontare le fratture prodotte nel tempo, lungo i decenni, e trasmesse anche alle generazioni più giovani.

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Le visioni di Teona Mitevska«IN JUGOSLAVIA non ci sono stati tribunali di pacificazione nazionale, che forse non bastano ma almeno sono qualcosa da cui ripartire» ci aveva detto alla scorsa Mostra del cinema di Venezia Teona Strugar Mitevska. Lei, che è nata in Macedonia ma se ne è andata presto perché l’orizzonte le stava stretto, quella guerra l’ha vissuta seppure da lontano, e da qui è partita per il suo secondo film, ora in sala dopo l’anteprima veneziana in Orizzonti, col titolo L’appuntamento – «traduzione» italiana per The Happiest Man in the World. Dopo Dio è donna e si chiama Petrunya, esplosivo ritratto di una giovane donna che sfida il maschilismo patriarcale della società in cui vive, e soprattutto i ruoli che le vengono appiccicati addosso perché donna, la talentuosa regista dalla Macedonia si sposta a Sarajevo con una storia che mette ancora al centro una figura femminile, e alla quale ha lavorato con una lunga preparazione, ricerche e ascolto di esperienze alla prima persona – la sceneggiatura l’ha scritta insieme a Elma Tataragic.
Anja ha una quarantina di anni, incontra Zoran grazie a un evento di speed dating, borse con cuori, spillette, tavolini selezionati. È solo un caso che li mette davanti nella grande sala per «cuori solitari»? In cui riecheggiano i sospetti, le contraddizioni, i rimossi di quanto avviene «fuori», le linee di separazione delle nuove geografie cittadine – serbi, croati, bosniaci – e quel passato che appunto non è mai finito ma continua a lavorare sul presente soffocando anche un possibile futuro.

Anja (Jelena Kordic Kuret) dunque trova Zoran (Adnan Omerovic) tra quegli uomini e donne seduti a coppia – anche se sconosciuti – forse una casualità forse persino felice, lei non sa però che Zoran la sta cercando, tanto tempo prima era stato lui il cecchino a spararle contro quando era solo una bambina. Che dire? Come comportarsi quando il trauma che ha lacerato la sua vita, che la memoria ha sfumato da qualche parte, arriva lì e ha un volto, un nome, un tono della voce?
Il margine è strettissimo, ma Teona Strugar Mitevska è una regista capace di controllare il rischio, anche dello stereotipo, lo ha già dimostrato nel suo primo film dove le regole del maschilismo (balcanico) venivano continuamente sorprese nel loro stesso immaginario. Qui a essere «sorpresa» è la relazione vittima-carnefice.Vendetta? Forse. Follia? Immaginazione? Cosa fare a quell’uomo? Il paesaggio fuori è pieno di macerie, palazzi nuovi che prendono il posto dei vecchi. E dentro, negli animi, che è rimasto? I sentimenti si mescolano, il gioco delle coppie va avanti, terribile, la musica si scontra col dolore, qualcosa si rompe nella mitezza della donna, Anja fugge, torna indietro, accetta la sfida:ha ancora il segno di quella ferita, è stata in coma, Zoran allora doveva essere appena adolescente.

QUEL DUELLO improvviso, che scoppia di violenza imprevista diviene reale, e porta in sé la storia. E proprio nella sua apparente assurdità riesce a restituire senza retorica, ma in profondità, il nodo irrisolto della riconciliazione e del perdono.