Lampi d’Oriente a Berlino
Berlinale 74 Dalla Corea del Sud al Giappone, il grande cinema dell'est è presente in tutte le sezioni del festival tedesco
Berlinale 74 Dalla Corea del Sud al Giappone, il grande cinema dell'est è presente in tutte le sezioni del festival tedesco
Piuttosto fitta e variegata la presenza estremo orientale all’edizione di quest’anno della Berlinale, molti i ritorni di autori diventati in questi ultimi decenni habitué nella capitale tedesca, ma il festival ospiterà, naturalmente, anche alcuni nuovi volti. In competizione ci sarà l’ultimo lavoro di Hong Sang-soo, A Traveler’s Needs, che già dal poster sembra continuare ed espandere quel particolare percorso nella settima arte che l’autore sudcoreano ha intrapreso negli ultimi decenni. Si tratta del sesto film presentato a Berlino dal regista coreano dal 2020, che vinse l’Orso d’Argento con The Woman Who Ran in quell’annata, miglior sceneggiatura l’anno successivo con Introduction e il Gran Premio della giuria per The Novelist’s Film nel 2022.
A Traveler’s Needs sembra essere un altro tassello in un’opera che, pur cambiando e sperimentando formalmente, si ricordi ad esempio In Water nell’edizione passata a Berlino, si sta dimostrando, anno dopo anno, come una delle più affascinanti tra quelle uscite dal continente asiatico, e non solo, in questo secolo. Il film in concorso è anche la terza collaborazione tra Hong e Isabelle Huppert, dopo Claire’s Camera e In Another Country, che qui interpreta una donna francese che vive nel paese asiatico, dove si guadagna da vivere come insegnante. Il personaggio portato sullo schermo da Huppert ama bere makgeolli, il vino a base di riso così importante per le relazioni che si intessono nel cinema del regista, e fa amicizia con due donne coreane.
Sempre proveniente dalla Corea del Sud, ma nella sezione Forum, sarà presentato Exhuma, un thriller sovrannaturale ambientato in una casa di una famiglia benestante diretto da Jang Jae-hyun, autore che si impose al pubblico del proprio paese nel 2015 con un film simile nei temi, The Priest. Sempre nella stessa sezione debutta a Berlino Miyake Sho, regista giapponese che nel 2022 aveva realizzato uno dei migliori film giapponesi dell’annata, Small, Slow but Steady, storia di una pugile sordomuta e lavoro che incapsula alla perfezione le preoccupazioni e le atmosfere cupe della pandemia di Covid-19. Alla manifestazione tedesca il regista nipponico porta All the Long Nights, film con cui esplora la relazione fra due colleghi, lui tormentato da frequenti attacchi di panico, lei da una forte sindrome premestruale. Ritorna a Berlino, sempre in Forum, Soda Kazuhiro, documentarista giapponese che abita e lavora a New York, con il suo nuovo lavoro, The Cats of Gokogu Shrine. Si tratta del documentario d’osservazione numero dieci per Soda che nel corso di una carriera più che ventennale ha esplorato varie tematiche, sempre però adottando il suo stile rigoroso che non prevede preparazione, scrittura, narrazione o incontri con i soggetti filmati prima di iniziare le riprese. Il regista torna con questo lavoro a filmare i gatti, come aveva già fatto in Peace nel 2010, qui il suo occhio si sofferma su un gruppo di felini che si muovono attorno al santuario Gokogu, nella località portuale di Ushimado, e le conseguenti proteste della comunità locale che non vede di buon occhio questi gatti randagi.
Torna nella capitale tedesca anche Tsai Ming-liang che porta alla Berlinale Special il decimo capitolo della sua serie sul camminare, dove l’attore Lee Kang-sheng vestito da bonzo buddista si sposta in maniera esasperatamente lenta per spazi urbani in varie città del mondo. La serie, cominciata nel 2012, si ispira e adatta per la contemporaneità i viaggi che il monaco cinese Xuanzang intraprese nel settimo secolo nel suo paese e in India. Il film portato a Berlino si intitola Abiding Nowhere e segue Lee nei suoi spostamenti per le strade di Washington.
Sempre alla Berlinale Special saranno presentati tre lavori provenienti dall’arcipelago giapponese, Chime di Kurosawa Kiyoshi, August My Heaven diretto da Kudo Riho e The Box Man di Gakuryu Ishii. Quest’ultimo è un adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Abe Kobo nel 1973, in cui un uomo decide di abbandonare la sua identità e girare per Tokyo in una scatola di cartone. Punta di diamante di un tipo di letteratura surreale e kafkiana che si sviluppò nel dopoguerra giapponese, Abe è famoso negli ambienti cinematografici internazionali soprattutto per la sua collaborazione con Teshigahara Hiroshi, regista che negli anni sessanta traspose per il grande schermo alcuni dei suoi migliori libri quali La donna di sabbia e Il volto dell’altro. The Box Man è stato prodotto in occasione del centenario della nascita di Abe ed è diretto da Ishii che torna a lavorare qui con due degli attori che più hanno caratterizzato parte della sua carriera, quando ancora il suo nome era Ishii Sogo, Asano Tadanobu e Nagase Masatoshi.
Con Chime, Kurosawa sembra toccare quella sottile linea che separa thriller ed horror psicologico, come ha già fatto in maniera evocativa e potente in molti dei suoi lavori passati. Un insegnante in una scuola di cucina comincia a rendersi conto di strani avvenimenti che stanno accadendo intorno a lui. Prima uno studente comincia a sentire un suono che gli fa credere di esser diventato una macchina, poi una ragazza che si comporta in modo bizzarro. Il film è prodotto da Roadstead, una nuova piattaforma digitale dove il film verrà distribuito in anteprima durante questo 2024, il lavoro sarà acquistabile e noleggiabile «come un DVD» ha annunciato la compagnia, e che è responsabile anche della produzione di August My Heaven. Quest’ultimo è diretto, come si è scritto più sopra, da Kudo Riho, giovane regista lanciata dal Pia Film Festival nel 2018, e si tratta di un lungometraggio incentrato sulla figura di Joe, uomo che lavora come attore a pagamento (parente, amante o amico) per occasioni come matrimoni, riunioni di famiglia o altre cerimonie del genere.
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