Sono ore di emergenza a Lampedusa, di emergenza umanitaria. L’isola ha registrato oltre 8mila arrivi via mare tra lunedì e mercoledì, a cui ieri si sono aggiunti una quarantina di sbarchi. Nel tardo pomeriggio 300 persone si trovavano ancora bloccate sul molo Favaloro, dove in precedenza si erano registrate cariche e spinte da parte delle forze dell’ordine. La distribuzione delle bottigliette d’acqua è proceduta per lanci, mentre alcuni migranti si sono tuffati in mare in cerca di refrigerio dopo ore trascorse sotto il sole cocente. Il punto di approdo, dopo 30 anni di fenomeni migratori, non è ancora attrezzato per ricevere dignitosamente chi arriva quando i numeri sono contenuti, figurarsi con questa ondata record.

ALTRO PUNTO CALDO è l’hotspot di Contrada Imbriacola, affollato come non mai: 7mila le presenze ieri a fronte di una capienza di 400 posti. Qui le tensioni si sono verificate soprattutto durante la distribuzione dei pasti, ma a essere estremamente caotica è la situazione generale. Sia rispetto alle condizioni igienico sanitarie, inevitabilmente compromesse dal sovraffollamento, sia perché mancano spazi per qualsiasi cosa. Per alcune ore gli operatori della Croce rossa italiana sono rimasti fuori dal centro.

E fuori dal centro si trovano anche gruppi di migranti: un’eccezione al tacito patto tra istituzioni centrali e lampedusani basato, con l’obiettivo di tutelare il turismo, sull’occultamento nell’hotspot di chi è appena sbarcato. Questo sistema ha retto anche in primavera ed estate, ma è andato in tilt di fronte ai numeri degli ultimi giorni.

NUMERI SIMILI all’anno record del 2016 (che alla fine contò 181mila sbarchi, mentre quest’anno sono stati 124mila). In quel caso però, ricorda il portavoce Oim Flavio Di Giacomo, solo un piccola quota di migranti transitava da Lampedusa: «la maggior parte veniva salvata in mare e portata nei grandi e più adatti porti siciliani». Nel mare aperto al largo della maggiore delle Pelagie e giù fino alle acque internazionali davanti alla Libia, infatti, erano presenti i mezzi di salvataggio istituzionali e le Ong, che in quel periodo venivano coordinate dalla guardia costiera. Oggi non esiste una missione di ricerca e soccorso, italiana o europea, e le navi umanitarie sono tenute fuori gioco per molti giorni attraverso l’assegnazione di porti lontanissimi: così tutti i barchini e barconi che partono da Tunisia e Libia convergono inevitabilmente sull’isola.

Ha fatto eccezione l’impiego in alto mare della nave Diciotti, della guardia costiera, che ha salvato 528 persone e ieri le ha sbarcate a Reggio Calabria. Singolare che in questo caso, nonostante un numero molto alto di naufraghi, non sia valso il principio adottato contro le Ong: indicare scali nel centro-nord Italia con la scusa ufficiale di alleggerire i sistemi d’accoglienza siciliano e calabrese.

INTANTO LA MACCHINA dei trasferimenti da Lampedusa tenta una corsa contro il tempo. Ieri, fa sapere il Viminale, 1.650 persone sono state portate in Sicilia. Oggi toccherà ad altre 3.750 e domani a 2.270. Un’«operazione straordinaria» su cui pesa l’incognita di possibili nuovi arrivi in massa. Per i prossimi giorni le previsioni meteo sono buone, anche se ieri gli sbarchi hanno comunque rallentato.

Il parroco dell’isola, Don Rizzo, ha definito la situazione «tragica, drammatica, apocalittica». Sia per chi arriva, che per chi resta. L’arcivescovo di Agrigento monsignor Alessandro Damiano ha rivolto un appello alle autorità regionali e nazionali «perché si impegnino a garantire una gestione e un accompagnamento di questi flussi di migranti in transito che siano rispettosi della dignità della persona, di chi per disperazione e bisogno cerca rifugio sulle nostre coste. Così non va».

CHE COSÌ NON VA lo testimonia l’ultima terribile tragedia avvenuta a pochi metri dal molo: nella notte tra martedì e mercoledì un barchino ormai vicinissimo all’approdo si è ribaltato e un bambino di appena cinque mesi è annegato. Il sindaco di Lampedusa ha indetto il lutto cittadino, insieme allo stato di emergenza.

Ieri il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha dichiarato che gli sbarchi record sono un «atto di guerra» dietro cui si nasconderebbe «la regia delle organizzazioni criminali». Gli ha risposto il collega degli Esteri Antonio Tajani che ha negato di sapere «se ci sia una regia o meno» ed è tornato a chiedere aiuto alla Ue e a ribadire che vanno fermate le partenze. Senza però specificare come.