L’ambasciatore è al Cairo da un anno, la verità su Giulio no
Egitto Il 14 agosto 2017, vigilia di ferragosto e quarto anniversario del massacro di Rabaa, Roma annunciava l’invio di Cantini in Egitto. Salvini ad al Jazeera: «Non annulliamo i rapporti con al-Sisi per Regeni». Negli ultimi mesi escalation di arresti e abusi su attivisti e giornalisti egiziani
Egitto Il 14 agosto 2017, vigilia di ferragosto e quarto anniversario del massacro di Rabaa, Roma annunciava l’invio di Cantini in Egitto. Salvini ad al Jazeera: «Non annulliamo i rapporti con al-Sisi per Regeni». Negli ultimi mesi escalation di arresti e abusi su attivisti e giornalisti egiziani
È trascorso esattamente un anno da quel 14 agosto 2017 quando l’allora ministro degli esteri Alfano annunciava il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, dopo il periodo di gelo diplomatico seguito all’uccisione di Giulio Regeni.
La scelta della data (alla vigilia di ferragosto, per ridurre il clamore mediatico) era stata particolarmente infelice anche perché coincideva con il quarto anniversario del massacro di Rabaa: circa mille sostenitori del Fratelli Musulmani uccisi in piazza dalle forze di sicurezza agli ordini del generale al Sisi.
Oggi, dopo che le relazioni diplomatiche sono state pienamente ristabilite, non solo da parte del Cairo non c’è stato nessun passo in avanti nella ricerca di verità per l’assassinio del ricercatore, ma la situazione dei diritti umani in Egitto è precipitata.
La repressione sta raggiungendo livelli tali che Andrew Miller, studioso del think tank Carnegie, non ha esitato a definire «totalitario» il regime di al Sisi in un’audizione al Congresso Usa.
Solo negli ultimi giorni non si contano i casi di abusi ai danni di oppositori. Sabato si è svolta la prima udienza del processo ad Amal Fathy, attivista e moglie di Mohamed Lotfy, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà che fornisce consulenza legale alla famiglia Regeni.
Le più importanti organizzazioni per i diritti umani egiziane hanno denunciato il pericoloso aggravarsi delle condizioni fisiche e mentali di Amal, che oggi rischia danni «irreparabili» alla salute. Nel comunicato le associazioni condannano le violenze psicologiche subite dalla donna e denunciano la pratica criminale del regime di usare i familiari come «ostaggi» per colpire gli attivisti.
Sempre negli ultimi giorni è scattato il rinnovo della custodia cautelare anche per altri due noti «prigionieri di coscienza» nelle celle del regime, Wael Abbas e Haitham Mohammadein. Il primo, famoso blogger e attivista, è stato trasferito nell’ospedale del carcere dopo un peggioramento delle sue condizioni di salute. Mohammadein, avvocato dei lavoratori e leader del movimento dei Socialisti Rivoluzionari, dovrà affrontare accuse pesantissime legate alle proteste per l’aumento delle tariffe della metro al Cairo.
Quella di rinnovare l’arresto ogni 15 giorni è una prassi ormai consolidata che allunga in modo indefinito la detenzione, lasciando i prigionieri nella totale incertezza sulle proprie sorti e sui tempi del processo. Il sostegno ai prigionieri è diventato inevitabilmente una delle principali attività di compagni, amici e familiari.
«Il solo fatto di sapere che qualcuno gli manda i saluti e chiede di lui gli ha illuminato gli occhi di gioia, nonostante tutto», ha scritto di ritorno da una visita in carcere il fratello di Hossam Sueify, giornalista da sempre in prima linea nelle battaglie per la libertà di espressione.
Si è concluso invece con quattro ergastoli e altre pesanti condanne l’ennesimo processo ai massimi leader dei Fratelli Musulmani, incluso Mohamed Badie, guida suprema dell’organizzazione. Il mese scorso in un altro processo, la corte ha chiesto la condanna a morte per Badie e altri 70 membri della Fratellanza. La sentenza di morte è in attesa del verdetto del mufti, la massima autorità religiosa del paese.
«Al contrario degli altri regimi autoritari che hanno governato l’Egitto, che lasciavano un minimo spazio di manovra alla società civile – ha detto ancora Miller al Congresso Usa – al Sisi sembra deciso a spazzare via qualsiasi attività indipendente dallo Stato». Ha poi evidenziato che l’involuzione totalitaria del regime potrebbe significare un serio rischio per la stabilità della regione.
Miller ha anche ricordato ai deputati statunitensi che le pressioni politiche ed economiche possono incidere sulle scelte dell’Egitto in tema di repressione e diritti umani e costringerlo a moderare alcune posizioni, come è successo quando gli Stati uniti hanno sospeso gli aiuti militari.
Su una linea diametralmente opposta il vice premier italiano Salvini. In un’intervista ad al Jazeera ha dichiarato: «Non si possono annullare i rapporti con l’Egitto in attesa di sviluppi sul caso di Regeni». Scarta l’idea che una posizione più dura su alcuni fronti possa avere un impatto sul regime e incidere positivamente sulla ricerca della verità.
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