Nel mio libro di memorie, Le tre età, raccontavo di aver conosciuto in casa di Eva Fréjaville, una scrittrice francese che risiedeva da molti anni a La Habana, donna di buona cultura, accattivante e di grande personalità, Wifredo Lam. Nella bella casa di Eva, nel quartiere del Vedado, si conservavano alcuni disegni e qualche piccolo quadro di Lam che riuscivano ad amalgamare con grande estro la geometria cubista con i segni magici della cultura negra: trionfavano in quelle stanze con i loro misteriosi sortilegi – questi lavori potevano occasionalmente dirsi afrocubani, ma in questo caso prodotti di una sensibilità molto coltivata, talvolta capziosa, sviluppata dal pittore nei lunghi anni in cui visse a Parigi.

L’uomo, una mistura di tre razze, bianca, nera e cinese, non voleva essere sempre simpatico ma certo non gli difettava intelligenza e avvenenza fisica: alto e magrissimo non sapevi mai se era di fronte o di profilo. Aveva la stessa età di mio padre essendo nato nel 1902 e parlava con uno strano accento che ben si adattava al suo inusitato aspetto personale. A Cuba lo si considerava con un grande rispetto: aveva conosciuto molto bene Picasso godendo della sua stima e della sua amicizia, che gli permise di esporre qualche volta i suoi quadri assieme a quelli del più grande artista del secolo: raggiunse così un’aura magica che nell’isola ebbe soltanto il nostro maggior poeta, José Lezama Lima.

Nel 1923-’24 Lam si era trasferito in Europa – prima in Spagna dunque a Parigi –, ma nel 1941 fu costretto in piena guerra, all’invasione dei tedeschi, a rientrare a Cuba quasi da straniero. Nel frattempo era diventato un pittore universale e questa fama che col passare degli anni non fece che progredire gli permise addirittura di vendere dei quadri con l’approvazione di Alfred Barr, prestigioso direttore del MoMa di New York, uno dei sancta sanctorum dell’arte moderna. Contemporaneamente Lam riuscì a farsi conoscere nelle due Americhe e ad esporre alla Galleria di Pierre Matisse, a New York, col beneplacito di André Breton divenuto un suo grande ammiratore – e non era cosa da poco. Nel 1943 vi espose forse il suo quadro ancor oggi più famoso, La giungla. E qui capiamo di colpo che Lam è cubano, a modo suo amava la sua isola anche se ci visse relativamente poco: i cañaverales dove crescono le canne da zucchero che invadono questa grande tela (cm 239 x 229), la negritude a cui arrivò più attraverso le antiche maschere africane scoperte, quasi un controsenso, in Europa e vivificate dalla sua pittura. Forse nei suoi quadri si indovinava anche una certa ossessione sessuale come dimostrano le prorompenti mammelle piene di latte che crescono insieme alle canne.

Dopo questo capolavoro del 1943, che segna anche il suo ritorno in patria, la sua arte non farà un passo indietro essendo qui giunta al suo apice: si trasforma senza necessariamente ripetersi e intensificando, questo sì, quell’aspetto diabolico del misticismo negro direttamente giunto dall’Africa, in lui sempre grandioso e qua e là poetico come ne La silla, una sedia fatta, a quanto sembra, con pezzi di canne da zucchero, che sorge in mezzo al campo dove crescono altrettante piante di canna, ricoperte di fiori in sintonia con lo scrittore, in parte cubano in parte francese, suo amico, Alejo Carpentier, il quale come lo stesso Lam fa parte di quel gusto che molti definiranno anni dopo «realismo magico».

Nel 2015 il Centre Pompidou ha dedicato un’eccezionale antologica a Lam, dove si precisa anno dopo anno anche la storia della sua vita (tutto a cura di Catherine David). Si indicano molte cose non tutte ovvie, non tutte note. Si parla dei suoi rapporti con l’alta cultura francese della sua epoca, la sua vicinanza al surrealismo, da cui molto prese e al quale molto dette, si mettono in risalto le sue affinità con personaggi famosi come André Breton, Marcel Duchamp, Michel Leiris, artisti e scrittori della sua epoca a Parigi come René Char e persino due scrittori cubani di grande calibro che lo capirono per primi: Fernando Ortiz e Lydia Cabrera (oltre che scrittori, grandi scopritori dell’arte e del pantheon negro).

Gli inizi in Europa, a Madrid, erano stati molto diversi da ciò che accadrà in seguito: si passa da un iperrealismo tardo-ottocentesco quasi in sintonia con Vincenzo Gemito (che forse non conosceva) a composizioni vicine al Déco e persino un magnifico autoritratto, dipinto del 1937, che sembra quasi un omaggio al Matisse di una ventina di anni prima. Ma come si è detto, deve tornare a Cuba per qualche anno, all’inizio della seconda guerra mondiale, per ritrovare sé stesso senza darsi a tentazioni lontane dalla sua natura: la sua bizzarra stella non lo abbandona, cambia, questo sì, anche le dimensioni delle sue opere, che nei quadri diventano grandiose mentre nei disegni si riducono all’essenziale, curati però come miniature preziose e crudeli.

Nella mostra di Parigi si sono investigati i misteri della religione e dei riti negri, la flora e la fauna della nostra isola, quell’immenso caimano addormentato che divide come un’enorme chiave il mare dei Caraibi. Sulla sua arte, la grande scrittrice spagnola Maria Zambrano disse che essa si centra attorno alla natura: non la natura convenzionale ma quella magica, riflessa appunto negli occhi di un mago. Gli ultimi anni della sua vita Lam li trascorse spesso in Italia, ad Albissola. Le circostanze non ci hanno fatto più incontrare eppure in quell’epoca io andavo spesso a Genova e scrissi un libro su molte cose liguri ma i fatti quotidiani sono indecifrabili e così dopo la morte di mio padre non rividi mai più quel suo vecchio e ammirato amico.

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Piatti totemici: una mostra su Lam e la ceramica
C’è ancora tempo fino al 9 ottobre per visitare, nel Museo della Ceramica di Savona e del Centro Esposizioni del MuDA di Albissola Marina, la mostra Lam et les Magiciens de la Mer. Albissola Marina è stata per Wifredo Lam un rifugio creativo negli anni sessanta. In quel periodo, la cittadina era in pieno fermento, un vivace laboratorio centro di ritrovo internazionale per artisti, critici, collezionisti e mercanti d’arte. È questo il contesto stimolante che ispira Lam e altri a sperimentare e innovare, facendo incontrare la tradizione ceramica secolare di Albisola e i nuovi linguaggi dell’arte. Il primo contatto di Lam con Albissola Marina fu occasionato da un invito dell’artista danese Asger Jorn, nel 1954. A partire dal suo trasferimento definitivo nel 1961 le forze vitali della natura, gli spiriti primordiali, le figure totemiche animali e sciamaniche iniziano a proliferare su vasi, piatti, piastre e rilievi, realizzati a ritmi serrati da Lam presso le Ceramiche San Giorgio. La mostra mette in dialogo le opere ceramiche di Lam con quelle di altri protagonisti dei quella tecnica tra gli anni cinquanta e settanta, tutti gravitanti intorno alle botteghe albisolesi, a partire dalle celebri Ceramiche Mazzotti, che celebrano quest’anno il 120esimo anniversario. Sono artisti come Lucio Fontana, Enrico Baj, Giuseppe Capogrossi, Roberto Crippa, Ansgar Elde, Franco Garelli, Asger Jorn, Maria Papa Rostkowska, Mario Rossello, Rinaldo Rossello ed Eva Sørensen.

 

una zuppiera di Lam, 1970, FAC Fabbrica Albissola Ceramiche