Editoriale

L’«Alexit» è fallito, per Tsipras è l’ora del governo

L’«Alexit» è fallito, per Tsipras è l’ora del governo

Atene L’economia è paralizzata ma la società ellenica continua a reagire con orgoglio. L’ultima proposta ateniese, molto rigida, è però migliore di quella pre-referendum, più favorevole ai poveri

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 11 luglio 2015

È giunta per Alexis Tsipras l’ora della politica di governo, delle manovre non lineari allo scopo di portare la Grecia fuori dalla camera a gas a cui l’hanno condannata, per due settimane almeno, Schäuble e Dijsselbloem. Il premier manovra avendo il  sostegno di un paese vivace e orgoglioso, consapevole della sua forza ma anche dei suoi limiti. Per risolvere il problema subito, da lunedì.

Con il blocco dei capitali l’economia è paralizzata e quando finirà la liquidità finirà anche la pazienza dei greci. È quello che probabilmente spera il potente partito neoliberista europeo per far fuori i «rossi» di Atene e dimostrare ai popoli europei che l’evasione dall’austerità è impossibile: evitare il grexit ma promuovere l’Alexit, lo tsipras-exit, magari sostituito o affiancato dall’uomo degli oligarchi, l’ex giornalista Stavros Theodorakis.

Tsipras sa come può far fallire questo progetto di «soft golpe». Sa di essere l’unico leader politico del paese, senza opposizione credibile né fuori né dentro il suo partito. Tocca a lui decidere cosa dire ai creditori, come fare le mosse giuste e in quale direzione. Sempre sulla scia delle chiarissime indicazioni che sono emerse dal referendum: continuare a negoziare ma tornare a casa con un accordo, non con un nuovo fallimento. I greci non vogliono austerità ma non vogliono neanche essere cacciati dall’eurozona. E Tsipras non vuole dare fuoco all’Europa.

Le proposte depositate ieri al Parlamento greco sono una versione leggermente migliorata di quelle consegnate dal presidente della Commissione pochi giorni dopo la proclamazione del referendum. E già questo da solo depone in favore della consultazione popolare. Il governo greco si è sforzato di adattarle, in modo che il peso sia distribuito in maniera più equa sulle spalle dei più abbienti. Ci saranno aumenti sull’Iva per macchine di grossa cilindrata, yacht e consumi di lusso ed è finalmente prevista la tassazione degli armatori: la Costituzione non permette di tassare gli utili, allora ci sarà un aumento dell’aliquota sul cabotaggio. Gli armatori che controllano anche i media, dovranno, per la prima volta, pagare le tasse sulla pubblicità trasmessa, oltre che per l’occupazione delle frequenze.

Ma ci saranno anche tagli proporzionali alle pensioni, aumenti all’Iva nelle isole, escluse quelle meno turistiche e più isolate, ma anche per tutti gli alimenti, esclusi gli essenziali, e anche i ristoranti.

Inoltre, dopo aver letto le ripetute prese di posizione di Matteo Renzi, personalità centrale negli equilibri europei, Tsipras in persona ha insistito affinché all’abolizione delle baby pensioni fosse data la massima priorità: da oggi fino al 2022 tutti andranno gradualmente in pensione a 67 anni o dopo 40 anni di contributi. Entusiasmo a Palazzo Chigi.

Ma questo sforzo di distribuire il peso in maniera più favorevole agli strati più poveri non è sufficiente a rendere buone queste proposte brutte, di austerità e di recessione, in vista di un compromesso forse onorevole ma sbilanciato verso la parte dei creditori. Il popolo greco continuerà a sanguinare.

Condizione perché l’accordo auspicato si risolva in favore della Grecia è che sia accompagnato da un chiaro e preciso impegno degli europei ad affrontare, in una data precisa, il problema del debito, reso ancora più urgente in vista dei 30 miliardi che Atene ha già chiesto al Mes – un altro passo indietro del governo. Ancora ieri il sempre “flessibile” Schäuble e la stessa Merkel esibivano pubblicamente fortissimi impedimenti amministrativi e normativi a procedere a un deciso taglio del debito greco e dare così soddisfazione a Washington. Per evitare un uso politico dell’ottusità burocratica teutonica (come è successo più volte con Varoufakis), Tsipras ha preferito usare il termine «rendere sostenibile» il debito, facendo capire che anche spalmarlo all’infinito con tassi ridicoli sarebbe una soluzione soddisfacente.

Un ultimo aspetto della vicenda, non secondario: ieri celebri corrispondenti da Bruxelles e meno celebri commentatori di opposizione in Grecia davano per scontata la ribellione dei deputati intransigenti di Syriza, arrivando al punto di definirne perfino il numero: 40 circa. Nel pomeriggio è effettivamente uscito un documento di critica alle proposte del governo, firmato da tre deputati e da tre membri della segreteria, totale sei persone. Probabilmente al momento del voto, attorno a mezzanotte, saranno di più. Ma è difficile che la maggioranza si spacchi.

Stando a Bruxelles, gli acuti osservatori non potevano prevedere che in mattinata Tsipras avrebbe affrontato il suo gruppo parlamentare dicendo che non può ammette fratture sulla strategia da seguire in questo «momento storico»: «Siamo arrivati insieme e ce ne andremo insieme. Dobbiamo governare. Tra una soluzione brutta e una catastrofica, bisogna scegliere la prima. Cerchiamo di dare battaglia sul debito e non siamo soli. E se la maggioranza viene a mancare, allora non farò ricorso agli altri partiti. Io non sono Papademos». Parole chiare, responsabili, senza infingimenti e demagogia.

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