«Rompere le convenzioni del linguaggio dell’arte per affermare quello che non è permesso dalla convenzione» e «sovvertire e apportare il cambiamento nell’ideologia» sono frasi che compaiono puntualmente negli scritti di Lala Rukh (Lahore, Pakistan 1948 -2017), tra le principali artiste attiviste femministe dell’Asia Meridionale. Frasi che diventano slogan nelle manifestazioni a cui l’autrice prende parte, documentandole con fotografie e video, affidando al disegno e alla serigrafia il contenuto «insubordinato» dei poster. Il suo lavoro, oggi conservato e valorizzato dalla nipote Maryam Rahman (Estate of Lala Rukh), è presentato dalla Sharjah Art Foundation nella prima grande mostra che in tre gallerie di Al Mureijah Art Space ripercorre trent’anni di attività: Lala Rukh: In the Round, a cura di Hoor Al Qasimi e Natasha Ginwala con Mahmoud El Safadi (fino al 16 giugno).

DOCENTE AL DIPARTIMENTO di Belle arti della Punjab University e al Nca-National College of Arts di Lahore (da lì sono uscite artiste e artisti contemporanei di grande rilievo nella scena artistica internazionale, tra cui Shazia Sikander, protagonista dell’antologica Collective Behavior, tra gli eventi collaterali della 60/a Esposizione internazionale d’arte di Venezia, Imran Qureshi, Rashid Rana, Aisha Khalid, Ali Kazim), Lala Rukh è stata co-fondatrice dei collettivi femministi Women’s Action Forum (1981), Simorgh (1985) e membro fondatore dell’associazione Vasl Artists Trust (2000).

In the Round, exhibition view Al Mureijah Art Space, Sharjah (ph Manuela De Leonardis)

ATTRAVERSO UNA SESSANTINA di opere (in parte provenienti dalle collezioni della Sharjah Art Foundation che sta lavorando anche all’edizione della prima monografia dedicata all’artista), esposte anche alla Biennale di Sharjah del 2015 e a documenta 14 (Atene e Kassel) 2017 ma riunite insieme per la prima volta, emerge un lavoro coerente di grande intensità poetica. Diversamente dal clamore delle voci di protesta delle opere degli anni Ottanta più esplicitamente connesse con l’attività politica e dell’installazione sonora Subh-e-Umeed (Dawn of Hope) del 2008, le serie Conté Drawings (1983-86), Sigirya (1993), River in an Ocean (1993-94), Pegasus Reef (1996), Gadani (2001), Sand Drawings (2000), Ocean Drawings (2000), dedicate a soggetti legati alla natura (luna, sole, sabbia, acqua), Hieroglyphics (2006 -2008) con cui rende omaggio al celebrato poeta e scrittore pakistano in lingua urdu Faiz Ahmad Faiz e anche l’ultima opera, l’installazione Rupak (2016) con l’animazione digitale sonora e gli 88 disegni ad inchiostro (esposti pure i quaderni con gli schizzi) esprimono un senso del tempo che è strettamente connesso con la musica.

IN PARTICOLARE, la musica classica indostana è sempre stata per Lala Rukh una fonte di grande ispirazione, essendo cresciuta in una casa frequentata da musicisti del calibro di Roshan Ara Begum (1917-1982), conosciuta in India e Pakistan come «Malika-e-Mauseeqi» (la regina della musica) per le sue performance canore di Kirana gharana. Il padre dell’artista, Hayat Ahmad Khan, appassionato della musica classica indiana, nel 1959 era stato fondatore di All Pakistan Music Conference (in mostra, una grande fotografia a colori che ricorda l’evento, accompagnata da una selezione di brani musicali interpretati da Rangi Khan, Zahida Parveen, Gulham Hassan e molti altri): la stessa Lala Rukh aveva partecipato a incontri e concerti. Ma in quel suo tratto rigoroso, fatto di linee grafiche appena accennate – quasi impercettibili – che si combinano tra loro, talvolta ondulate, segni e punti che sembrano sussurrati nell’affiorare dalla carta o dalla stampa fotografica, c’è molto anche dello studio della calligrafia che la stessa Rukh aveva appreso attraverso l’insegnamento di Gohar Kalam.

UN TRATTO che ha una proporzione, un’unità, un’armonia e un ritmo all’interno di una struttura predefinita. «Disegnando gli spazi traccia gli orizzonti, fluttuando tra vista e non vista, espansione e contenimento – scrive Natasha Ginwala – Il vocabolario ridotto di Lala sembra quasi avere una sua azione, spesso mostrando una coreografia nascosta di cifre nelle sue partiture. Questo è il suo linguaggio, una costellazione di forme calligrafiche, minimalismo e scrittura simbolica».