La riforma dell’Aifa votata martedì al Senato e destinata a una veloce approvazione alla Camera (salvo sorprese) genera più di un malumore nella comunità scientifica. Cancellare il direttore generale e dimezzare le commissioni tecniche appare una riduzione del raggio di azione dell’agenzia, che ha il delicato ruolo di vigilare su sicurezza, efficacia e sostenibilità dei farmaci. Eppure, la maggioranza non mette in conto dietrofront, come quello fatto sul tetto al contante per impulso del Quirinale. «Cangurata» nella norma che proroga la partecipazione italiana alle missioni Nato, la riforma approderà all’esame delle commissioni lunedì 5 dicembre e potrebbe arrivare in aula nella settimana successiva.

POCO IMPORTA se la riforma è bocciata da chi se ne intende. Dopo il parere assai negativo di Silvio Garattini, il più importante farmacologo italiano e presidente dell’istituto «Mario Negri», anche il microbiologo e ora senatore del Partito Democratico Andrea Crisanti ci va giù duro: «Una vergogna» è il giudizio che consegna al manifesto. Il rischio di un’agenzia in cui tutto il potere finisce nelle mani del presidente è che il governo metta sotto controllo un organo indipendente per statuto e natura. Per spiegarlo, Crisanti ricorre all’esempio statunitense: «Se l’agenzia del farmaco statunitense fosse finita sotto l’egida di Trump, gli americani contagiati dal Covid sarebbero stati curati con l’idrossiclorochina», il farmaco inefficace ma molto caro all’ex-presidente Usa.

C’È ANCHE CHI non la pensa così. L’ex-direttore dell’agenzia Guido Rasi, ad esempio, ritiene che le procedure con cui l’Aifa esamina i farmaci siano troppo complesse e che la nuova governance possa «semplificare l’accesso all’innovazione», facendo eco al ministro Schillaci. Rasi rivendica anche il copyright sulla riforma, da lui «già proposta nel 2011». Rasi non è un testimone neutrale della vicenda, avendo tenuto le redini dell’agenzia per un triennio a partire dal 2008. Cioè, dopo l’allontanamento del precedente direttore Nello Martini – fondatore dell’agenzia e sostenitore della sua indipendenza dal governo – coinvolto in un’improbabile inchiesta giudiziaria su quattordici bugiardini poco aggiornati. Martini fu poi prosciolto da ogni accusa ma Maurizio Sacconi, allora ministro della salute del governo Berlusconi e marito della direttrice generale di Farmindustria Enrica Giorgetti, lo aveva già licenziato e sostituito proprio con Rasi.

LA VICENDA DI ALLORA ricorda per molti versi lo scontro odierno tra l’attuale direttore dell’Aifa Nicola Magrini, fautore di un’agenzia meno subalterna nei confronti delle imprese farmaceutiche, e il presidente Giorgio Palù, che con la famiglia Sacconi e la maggioranza di governo intrattiene un ottimo rapporto. Fu l’ex-ministro forzista a chiamarlo come suo consulente al ministero e Matteo Salvini a indicarlo nel Comitato tecnico scientifico del governo Draghi (al posto di Magrini).

L’ACCUSA DI LENTEZZA nelle procedure di valutazione dei farmaci innovativi però non corrisponde a verità. Al contrario, nel campo delle nuove terapie geniche l’Italia è l’unico Paese europeo ad averne già approvate sei, mentre all’agenzia europea del farmaco (Ema) i dossier sono ancora in corso di valutazione. Peraltro, che la fretta nell’approvazione dei farmaci stia più a cuore alla politica che ai cittadini lo si è visto durante l’emergenza Covid, quando a febbraio 2021 il governo Conte 2 decise di acquistare i primi anticorpi monoclonali non ancora valutati dall’Ema e ricorrendo a una procedura nata per la difesa dagli attacchi con armi batteriologiche al prezzo di duemila euro a trattamento. In altri casi, come quello dei vaccini anti-Covid nella fascia tra i sei mesi e i cinque anni di età già approvati dall’Ema ma non ancora utilizzati in Italia, l’Aifa è stata accusata di ritardi non suoi: l’agenzia ha dato il via libera oltre un mese fa ai vaccini pediatrici ma il ministero della salute non ha mai emanato la circolare per attuarne la somministrazione.

LA RIFORMA STESSA, approvata in fretta e furia come emendamento a una legge che riguarda la sanità calabrese e le missioni Nato, potrebbe avere l’effetto paradossale di paralizzare l’Agenzia. Il mandato del direttore Magrini scade tra due mesi e una riconferma, anche temporanea, è praticamente impossibile. Ma è improbabile che entro quella data il governo abbia già ridefinito le funzioni della nuova dirigenza e della commissione unica e indicato i nomi adatti a ciascun ruolo. Anche la conferenza delle Regioni, cui è affidata l’organizzazione sanitaria, dovrà dire la sua. Ma più di un assessore regionale ieri ha ammesso candidamente di aver appreso della riforma leggendo il manifesto. In attesa che si completi l’iter, l’agenzia potrebbe essere affidata a un dirigente «facente funzioni» o persino a un commissario.