Il primo comunista a ottenere un ministero in Spagna abbandona la politica. Alberto Garzón, come aveva annunciato prima delle elezioni, lascia la prima linea della politica e il coordinamento della segreteria di Izquierda Unida, il partito alla cui guida era stato paracadutato giovanissimo, a soli 30 anni, nel 2015 nel bel mezzo dell’ascesa di Podemos e sull’onda lunga del movimento degli Indignados di cui formava parte, da più giovane deputato nel Congresso nel 2011.

Economista di formazione, comunista per convinzione, Garzón è sempre stato un outsider: punto di riferimento del movimento 15M per il suo eloquio raffinato ma efficace, star televisiva quando i poteri forti vedevano il movimento di protesta del 2010 come pittoresco, il giovane leader di Malaga era riuscito a salvare il suo partito dal soccombere sotto la marea viola di Podemos, che era nato proprio in contrapposizione all’anchilosato erede del partito comunista spagnolo – di cui Garzón mantiene la tessera. Nel 2016 raggiunge un accordo con Pablo Iglesias perché Iu corra assieme ai viola, una delle chiavi del successo della coalizione di sinistra in quegli anni.

Membro del collettivo Economia critica, si dedica negli anni a fare pedagogia su come il sistema economico neoliberista vigente e la profonda crisi economica durante la quale è cresciuto politicamente causano profondi danni alle persone, all’ambiente, e alla vita.

Quando Unidas Podemos entra nel governo, a Garzón spetta uno dei quattro ministeri che Iglesias strappa a Sánchez. Anticapitalista, diventa, ironia della storia, ministro del consumo. Un ministero praticamente senza competenze, ma a cui lui ha dato un senso: la sua lotta contro le pubblicità dei giochi d’azzardo e per limitare l’accesso al gioco soprattutto dei più giovani e nei quartieri socialmente complicati, è un modello pioniere in Europa.

E poi una batteria di iniziative in difesa del consumatore, allungamento delle garanzie, numeri di attenzione al cliente obbligatori, protezione dei consumatori più vulnerabili, il consumo sostenibile. Memorabile il pandemonio scatenato nella lobby dei produttori di carne, e a destra, quando sostenne che la diminuzione delle macrofattorie e del consumo della carne era salutare oltre a contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico: evidenze scientifiche (che lui ha sempre difeso) che, passata la tempesta, difendono anche gli alleati socialisti che lo lasciarono solo.

Quando disse di voler lasciare la politica spiegò che è necessaria energia fresca «perché il potere corrompe e dà alla testa». Per lui, spiegava, «la politica deve essere necessariamente etica». In una lettera inviati agli iscritti ieri ha rivendicato che «la serietà, l’esperienza e la responsabilità di Iu è una garanzia per la nostra società» e che «magari tutte le forze di sinistra non dimentichino l’importanza di una unità ben costruita. E, se è possibile, tessuta con la fraternità e non la semplice e bruta correlazione di forze».