La guerra in Ucraina rappresenta una ulteriore accelerazione di tendenze generali già gravi. È evidente il collegamento di questo passaggio con la crisi Covid e la Conferenza sul clima di Glasgow, che hanno diffuso nelle classi dirigenti dei paesi sviluppati la consapevolezza dell’inconciliabilità tra il modello di sviluppo, di produzione, di consumi affermatosi a livello mondiale e i processi innescati dal conseguente deterioramento dell’ambiente. A partire dal riscaldamento globale coi relativi effetti, gradualmente catastrofici, che imporrebbero una drastica riduzione dell’uso dei combustibili fossili.

La coscienza di questa contraddizione ha portato a grandi movimenti nell’opinione pubblica sulla necessità di forti ristrutturazioni dei processi estrattivi, produttivi, distributivi delle risorse materiali. finora dominati dalle logiche di valorizzazione dei capitali così impiegati. Pertanto, ha messo le classi dirigenti di fronte alla prospettiva di uno sconvolgimento degli assetti di potere politico ed economico nei diversi Paesi e a livello globale.

Si è affermato “Nulla più sarà come prima”. In realtà, i grandi attori della politica e dell’economia si stanno muovendo nei confronti degli altri competitori per difendere il controllo dei processi in corso nei rispettivi paesi e mercati, producendo un ulteriore aggravamento dei contrasti e un ridisegno generale di rapporti, alleanze, ragioni di scambio.

LA GUERRA IN EUROPA è una chiara manifestazione di questo passaggio. Rispetto alle guerre precedenti lo scatto politico è dato dalla dimensione globale di un conflitto che vede come attori, dietro l’Ucraina, la Nato guidata dagli Usa e la Russia, secondo competitore mondiale dell’“Occidente” dopo il gigante cinese. Conflitto durissimo, potenzialmente nucleare, per cui il Papa ha parlato di “pazzia” dei decisori politici, ma che accresce produzione, commercio e profitti sugli armamenti e che ha un potente effetto di distrazione di massa sull’opinione pubblica rispetto alla crisi Covid ed al riscaldamento globale.

LO SCONTRO SI PONE ormai al livello della geopolitica, ma resta saldamente impiantato nella concorrenza tra i grandi interessi economici dei diversi paesi, investiti in pieno dalla crisi della globalizzazione. La Russia di Putin attacca l’Ucraina per evitare che la Nato gli si insedi nel cortile di casa e per difendere i propri spazi sui mercati dei combustibili fossili, dei cereali, degli armamenti, di cui è il secondo esportatore mondiale dopo gli Usa. E per mantenere, con la propaganda sulla guerra “patriottica”, il consenso popolare ad un regime di forti disuguaglianze aggravate dalla crisi.

SULL’ALTRO VERSANTE la Nato si è allargata ai Paesi dell’Est per rispondere alle richieste di protezione di questi nei confronti del nazionalismo russo, e per conservare attraverso l’alleanza militare la presa degli Usa su un’Europa rafforzata dall’Euro. Ora, con la guerra in Ucraina, Biden punta esplicitamente a un regime change a Mosca, per ottenere un successo che compensi la vergogna dell’Afghanistan e per riproporre gli Usa come paese leader del “campo occidentale” e della relativa globalizzazione parziale, ovvero di uno spazio aperto all’impiego dei propri grandi capitali. Soprattutto, per difendersi dalla Cina, che accresce il valore dei propri capitali nella finanza, nel web, nella produzione alimentare, nel consumo di combustibili fossili, che attua politiche di espansione in Asia, Africa, Sud America, e di rapporti verso occidente con la “via della seta”, che reagisce alla crisi Covid premendo su Taiwan e Hong Kong.

L’aggravamento delle tensioni a livello globale comporta, inoltre, una accelerazione di tendenze negative anche nella politica interna dei singoli Paesi, in termini diversi e comunque verso un controllo ancora maggiore degli interessi forti sulle forze politiche, sulle istituzioni e sull’opinione pubblica. Soprattutto in Italia, dove la cronica debolezza della politica ne compromette ancora di più l’autonomia rispetto agli interessi dominanti.

SENZA ORDIRE COMPLOTTI, ma indirizzando con decisione le reti di relazioni tra economia, politica, cultura verso un orientamento comune alla difesa del proprio sistema e del relativo assetto del potere, contro tutti gli altri. In questa sede va affrontato almeno un aspetto di questo passaggio relativo all’opinione pubblica, alla quale si cerca di imporre un pensiero unico basato sull’aut aut: o con i buoni, senza se e senza ma, o con i cattivi.

Con l’omologazione del ceto politico di governo e dei grandi media si punta all’azzeramento del pensiero critico, come valutazione della complessità degli interessi in gioco considerandone interazioni e dinamiche, senza rinunciare ad un giudizio sulle relative responsabilità. Perché il pensiero critico è la sola strada per individuare linee di uscita dalla guerra in Europa e dall’aggravarsi dei conflitti a livello globale. Soprattutto, per affrontare sul piano politico, nei confronti degli interessi forti, la contraddizione tra lo sviluppo basato sulla “crescita” e l’impatto di questa sull’ambiente e sulla vita del pianeta.

* Centro Riforma dello Stato