Labour e Tory, dietro le donazioni due mondi inconciliabili
Le ultime stime e indagini sulle intenzioni di voto continuano a mostrare un progresso inaspettato e (se confermato) persino imperioso del Labour e di Corbyn rispetto ai tories. Chiaro che […]
Le ultime stime e indagini sulle intenzioni di voto continuano a mostrare un progresso inaspettato e (se confermato) persino imperioso del Labour e di Corbyn rispetto ai tories. Chiaro che […]
Le ultime stime e indagini sulle intenzioni di voto continuano a mostrare un progresso inaspettato e (se confermato) persino imperioso del Labour e di Corbyn rispetto ai tories. Chiaro che a questo punto possa trasparire in Theresa May l’ansia di chi ha tutto da perdere: è cupa anche solo l’ipotesi di condurre i negoziati Brexit con una maggioranza scarsa o un governo di minoranza. Ciò può influenzarne la fluidità di fronte a un Corbyn equilibratamente fiducioso all’esterno e nell’animo autenticamente convinto: forse la migliore combinazione per guidare una campagna elettorale. Conta anche la «tecnica» comunicativa, ma avere una proposta distinta e autentica rimane inestimabile, specie a sinistra, anche perché in molti paesi più avanzati perdura il finanziamento «di classe». Anche nel Regno Unito. Occorre tenerne conto quando valutiamo i fattori di credibilità ed efficacia dei diversi partiti e leader, o dei diversi programmi e messaggi.
In un sistema che solo intorno al 2000 ha davvero imposto obblighi di pubblicizzazione dei contributi, anche in queste elezioni sono emerse storiche distinzioni e grandi sproporzioni. Già al principio della campagna elettorale i Conservatori hanno surclassato il Labour con donazioni per 4 milioni di sterline contro 2.6 milioni. Così anche nel seguito: nella seconda settimana si sono spesi alcuni pesi massimi del grande capitale, fornendo al partito conservatore 1.6 milioni di sterline, mentre i laburisti ricevevano soltanto 382.925 sterline. Ma è utile soprattutto comprendere da chi arrivano i fondi: donazioni singole di 150.000 sterline pervengono ai tories da persone giuridiche come Investors in Capital Limited, o da singoli operatori finanziari (persone fisiche) come Michael Lewis (100.000), o come il manager del settore petrolifero ed energetico Andrew C. Green (135.000). Per il Labour nella seconda settimana abbiamo solo un’azienda, la Fujitsu, con 16.800 sterline, ma in beni e servizi. Altrimenti fra i donatori di rilievo (sopra la quota che è obbligatorio comunicare: oltre le 10.000 sterline) non ci sono che quattro sindacati: dalle 10.000 sterline dei minatori (ormai pochi, forse) alle 290.000 della Gmb. Altri grandi sindacati come Unison offrono solo 60.000 pounds, ma avranno probabilmente già donato o lo rifaranno. Certo, al Labour sono giunte anche donazioni private in piccole e piccolissime cifre, e chiunque può donare con modalità internet anche solo poche sterline: quella delle grandi cifre in piccole somme è una strategia seguita per esempio da Sanders e altri esponenti della sinistra sempre (anche nel nord Europa) molto svantaggiata in quanto a fondi. Nei singoli collegi, poi, esistono limiti di spesa molto bassi, di poche migliaia di sterline. Ma a quel livello il Labour può recuperare con l’altra sua grande risorsa «economica»: la militanza gratuita esplosa numericamente con Corbyn. Tutto ciò permette di fare qualche ragionamento, ipotetico ma assai fondato, rispetto alla possibilità sempre più di elevate che il recupero di Corbyn sia reale: la distinzione della proposta e della rappresentanza è una risorsa che evidentemente si era andata indebolendo con il New Labour di Blair.
Solo nel 1997, con i Conservatori che dopo 18 anni avevano nauseato pressoché tutti, Blair raccolse sia le donazioni del proprio elettorato classico, sia quelle di elettori molto abbienti e moderati che di fronte a stupiti militanti laburisti assicuravano «we’re Tony Blair» (erano cioè per Blair, non per i laburisti). Ecco che allora il Labour aveva di molto avvicinato i Conservatori nei fondi: 24,1 milioni di sterline contro 42,5, con esplosione di costi totali in seguito mai più avvicinata. Emersero, non a caso, inedite donazioni di milioni di sterline al Labour da parte di grandi interessi (il barone della formula 1 Bernie Ecclestone) o la nota consuetudine coi media di Rupert Murdoch, e anche per questo la distinzione della rappresentanza democratica del New Labour perse mordente. Da cui anche un declino di voti e di adesione al messaggio e al programma. Inoltre il Labour, dal 2001 a prima di Corbyn, è apparso o sicuro vincitore (ma con entusiasmo declinante da parte del proprio elettorato fedele o potenziale) oppure uno stanco perdente, tanto da disincentivare grandi mobilitazioni, mediante il volontariato o il contributo in denaro.
Ora, se Corbyn sembra oggi capace per lo meno di una grande rimonta, almeno in parte ciò deve dipendere da una ricarica di motivazioni e funzioni democratiche. Questo fattore è apprezzato anche nei ceti medi, e rimane importantissimo dati i diversi schieramenti di forze sociali emersi nei finanziamenti, ma anche vista la differenza nelle cifre su cui i due contendenti possono da sempre contare.
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