Visioni

La voce del Sahara

La voce del SaharaMariem Hassan mostra alla madre le pagine della sua biografia «Soy Saharaui» (graphic novel pubblicata in Spagna da Calamar), scritta da Gianluca Diana e illustrata da Andromalis – Manuel Dominguez

Non solo musica La cantante saharawi Mariem Hassan, scomparsa recentemente nel campo profughi di Smasa, in Algeria, era amatissima anche per il modo in cui ha incarnato con la sua opera la vicenda e la lotta di un intero popolo

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 29 agosto 2015

La chiamavano «La Voz del Sahara» e mai soprannome fu più azzeccato. Mariem Hassan, scomparsa lo scorso 22 agosto a Smara, nei campi profughi algerini, aveva una voce fuori dal comune ed era una musicista di livello internazionale. Ma il nickname celava altro, non fermandosi al solo livello artistico: la saharawi Hassan era per la sua gente una vera e propria icona.

Il perché lo si evince dalla storia personale, una vicenda articolata e complessa e al contempo profondamente adesa a quella del suo popolo. Anagraficamente apparteneva a quella generazione che ha vissuto sulla pelle gli eventi legati alla lotta per l’indipendenza: era poco più che un’adolescente durante gli anni ’70, quando il Western Sahara venne occupato indebitamente e con la forza da Marocco e Mauritania, a seguito dell’accordo Tripartito di Madrid del 14 novembre 1975. Visse la fuga verso l’Algeria, la nascita dei campi e l’esilio forzato, la guerra e i lutti conseguenti, la costruzione del Muro della Vergogna e la delusione del mancato referendum del 1991.

Proprio questa appartenenza totale di cui è andata sempre orgogliosa, le hanno portato profonda stima e rispetto. Ecco perché durante le esequie svolte sempre a Smara nello stesso giorno della morte, oltre gli esponenti di governo, è stata enorme la presenza della gente comune.

Mariem Hassan
Mariem Hassan

Musicalmente parlando le prime esperienze della Hassan sono datate 1976, quando entra nella nascente orchestra nazionale El Uali, ensemble che da subito iniziò a tenere molti concerti all’interno del circuito dell’Internazionale Socialista. Col passare degli anni, grazie ad un talento smisurato, diventerà uno dei punti di forza della formazione, alternando le attività come musicista a quelle di madre.

La svolta giunge nel 1997 quando viene notata durante un festival locale dall’iberico Manuel Dominguez, titolare della label Nubenegra. Lo spagnolo, grazie a una serie di registrazioni effettuate direttamente sul campo l’anno successivo, diventerà volano dell’intera scena musicale saharawi fino ai primi anni duemila, proponendo la formazione Leyoad, di cui Mariem sarà la principale protagonista anche sul disco omonimo pubblicato nel 2002.

Nel 2005 arriva l’esordio a suo nome con Deseos, nel 2010 il secondo album Shouka, nel 2012 il terzo El Aaiun Egdat. Fino al 2013 ha avuto una intensa attività dal vivo con tour che le hanno permesso di girare per metà del globo, divenendo uno dei nomi di spicco delle rassegne dedicate alla musica dal mondo. Celeberrima la sua partecipazione al Womad di Adelaide del 2010, quando durante una improvvisazione si ritrovò sul palco assieme alla palestinese Amal Murkus e alla catalana Marinah (Ojos De Bruj) in un incontro carico di suggestioni. L’ultima pubblicazione discografica, una compilazione di brani dal vivo e inediti dal titolo Baila Sahara Baila, è della primavera di quest’anno.

Dal punto di vista strettamente musicale le vanno riconosciuti due meriti indiscutibili: ha saputo rendere contemporanei i suoni tradizionali ed è stata la prima a collaborare con musicisti di altri paesi, dando un respiro internazionalista ai suoni saharawi. Se questo aspetto ha dato una veste particolare al genere tradizionale haul suonato da Mariem Hassan, la struttura portante della sua poetica sono state le canzoni di cui è autrice. In queste ha raccontato la lotta per la causa, il valore della memoria come bene collettivo, l’importanza delle donne saharawi nella loro società.

La cantante ha inoltre ripetutamente affrontato il tema del mondo infantile: da donna di carattere quale era, capace di rifiutare un matrimonio combinato a quindici anni e altrettanto determinata in quello che è stato l’intento di una vita, ovvero il ricongiungimento dei figli sotto uno stesso tetto, ha saputo raccontare in Arfa l’importanza dei niños. Dalla sua gente si è fatta amare ulteriormente con brani di impegno politico: in Shouka ha messo alle corde il discorso menzognero di un giovane Felipe Gonzales, futuro premier socialista spagnolo dal 1982 al 1996, che nel 1976 fece promesse mai mantenute ai saharawi; con il blues intenso di Gdeim Izik suggellò nel 2010 l’inizio delle cosiddette Primavere Arabe. Tanto coraggio ha dimostrato nell’affrontare anche il cancro che l’ha portata via, rendendo pubblico il proprio dolore: nel 2005 all’esordio della malattia scrisse la toccante Mutamaniyat e altrettanto ha fatto circa venti giorni fa pubblicando online il brano Despedida, un’incisione di sola voce di estrema intensità che è stato il suo epitaffio.

Da tutti i racconti di Mariem si percepiva un carisma non comune. E accade raramente che dietro una storia di musica si raccolga in modo così evidente la vicenda di una popolazione intera. Scevra da atteggiamenti da gran diva, ha sempre sottolineato il suo senso di appartenenza a tutte le mujeres saharauis, sottolineando a più riprese le capacità di reggere in piedi la propria comunità. Collettività alla quale era fiera di appartenere e su cui così si esprimeva, su Alias del 6 dicembre 2012: «Le nostre donne sono forti, sono pronte a lottare. Io sono come loro e ci riesco con le mie armi, la musica e le canzoni. Quello che faccio è per il mio popolo. Le persone passano, le canzoni restano e saranno ascoltate dalle nuove generazioni, rimanendo per sempre, di tutti».

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