La campagna elettorale di Keir Starmer è stata piatta. E lo è stata pure la valanga rosa, che non è una squadra vittoriosa – e sessista – di sci azzurro degli anni Settanta, ma la vittoria di questo blando Labour marca Starmer. Come può una valanga essere piatta? In queste ore, i paragoni con la vittoria blairiana del 1997 si sprecano. Ma è per una mera questione quantitativa. Non è stata la super-maggioranza che si preconizzava – l’ipotesi più probabile secondo gli allibratori – pur essendo comunque inusitatamente larga.

I RISULTATI DEFINITIVI si sapranno solo oggi per via di una riconta in Scozia, ma il Labour ha vinto 412 seggi, il suo più grande swing – incremento – dal 1945. Con una simile maggioranza può fare quello che vuole o quasi. Ha riconquistato la Scozia (solo nove seggi al Snp), causa prima della sua precedente irrilevanza, e parte del muretto rosso delle città ex-operaie del nord deindustrializzato, che credono che i loro problemi siano i migranti. Resterà al potere per almeno due mandati, come di prammatica nelle democrazie anglo-imperiali.

MA A GUARDAR BENE, dopo che tutte le paillettes sono finite nei fiumi e gli speaker hanno smesso di infliggere pop scadente, in termini di voti qui si è trattato soprattutto di un tracollo Tory (118 seggi), in linea, appunto, con quanto emerso in campagna elettorale. Un indubbio ricostituente per i milioni di britannici che di quel partito sono stati vittime in questi interminabili quattordici anni di austerity.

I giochi li ha fatti l’autocombustione del partito Conservatore, preso in una spirale verso il basso dopo la pur poderosa vittoria orchestrata da Boris Johnson nel 2019 e che dalla panzana della Big Society del primo Cameron è finita con la succitata austerity della coalizione coi libdem (appena tornati a galla con 71 seggi), l’hostile environment di Theresa May, fino al leghismo concentrazionario delle deportazioni in Ruanda di Patel/Braverman/Sunak passando per l’anarco-capitalismo di Liz Truss. Anche per questo la fine politica di figure come Truss medesima, di Jacob Rees-Mogg, con il suo tweed racing green e soprattutto di Penny Mordaunt, leader della camera che all’incoronazione Disney teneva in mano Excalibur appena estratta dalla roccia, sono pura poesia.

La lettura che i liberal europei fanno di questo avvicendamento è patetica se non del tutto irritante. Fuori da un simile tunnel degli orrori anche questo paese – l’avamposto universale del conservatorismo, delle disuguaglianze, e del dominio di classe – avrebbe per forza voltato pagina.

COME LEGGERE poi il fattore bassa affluenza? È calata rispetto al 2019, quando c’erano due alternative nette tra le quali scegliere. Con tutti i suoi limiti (quali?) il programma di Corbyn era diverso da quello dei Tories. Non solo. Starmer ha preso tanti seggi ma pochi voti, una delle gioie del “medievale” uninominale secco, che vede la politica come una corsa di cavalli fra bipedi.

IN ALCUNI DEI LORO collegi tradizionali poi, i laburisti recedono: molti elettori di sinistra hanno castigato il centrismo di Starmer e la sua posizione filoisraeliana pesa nelle zone con elevate percentuali di fede musulmana. E Corbyn ha mantenuto il suo collegio storico di Islington North: aveva contro tutta la macchina del partito, ma il suo quarantennio da deputato gli è valso la fedeltà incrollabile dei suoi elettori. Sarà una salubre spina al fianco sinistro di Starmer. Nemmeno questo sorprende: quando un giornale intoccabile come il Sun ti dà il suo appoggio – come fu per Blair – vuol dire che sei innocuo. E Starmer è soprattutto innocuo, come il suo centrismo «radicale» – come dicono qui per dire «estremo». Quando si troverà sul banco dei futuri imputati, l’accusa sarà tentato New Labour a mano disarmata – senza cioè i soldi che Tony mungeva dalle vacche grasse della City. La crescita sulla quale ha scommesso tutto (i soldi per far risorgere i martoriati servizi sociali non li vuole certo prendere da chi li ha) non crescerà. E questa sua ritrosia nei confronti dell’indebitamento e delle tasse la pagherà cara.

E QUI SI AFFACCIA il ghigno euro-xenofobo di Nigel Farage: quattro seggi per quattro milioni di voti. Lui, Farage, ha finalmente scassinato Westminster, dopo averci provato enne volte, nel collegio dell’Essex. Eserciterà una continua pressione sui conservatori, che dovranno resistere alla tentazione di farne il proprio leader. Ma potrebbe anche insidiare l’ala destra dei “pragmatici” che hanno votato Labour. Ultima tappa storica? Il Sinn Féin, che diventa il maggior partito in Irlanda del Nord (non siedono a Westminster) con 7 seggi.