Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile, grazie ad una limitata ma chiara vittoria elettorale, costituisce un regalo a tutti i democratici del mondo. Anche il nostro destino di provinciali europei è e sarà profondamente condizionato dall’esito di queste elezioni, nella terza democrazia mondiale in ordine di numero di elettori.

Tuttavia, gli sforzi polizieschi volti ad impedire l’afflusso alle urne in molte zone del Brasile, oltre alle pur assurde contestazioni preventive del risultato, stanno ad indicare la disperata volontà di Jair Bolsonaro e, soprattutto, della coalizione di interessi che lo ha sostenuto, di conservare i poteri di cui egli ha abusato. Gli stessi meccanismi elettorali gli hanno assicurato in passato la presidenza e oggi la conquista di vari governatorati oltre che la conferma della sua maggioranza parlamentare, al punto di spingere alcuni suoi ministri, oltre che, con ogni probabilità, il governo di Washington, a sconsigliare la contestazione del risultato elettorale.

Le immediate congratulazioni di Joe Biden, colpito da analoghe e durature contestazioni della sua elezione da parte di Donald Trump, scaturiscono anche dal coinvolgimento dell’estrema destra di Steve Bannon nella partita brasiliana. Gli oltre 600.000 morti, dovuti ad una disastrosa politica di negazione delle conseguenze del Covid, la crescita esponenziale dello sfruttamento della foresta dell’Amazzonia, l’organizzazione delle parti più retrive e corrotte dello Stato, la divaricazione sociale drammaticamente crescente, se hanno determinato la sconfitta elettorale di Bolsonaro, costituiscono altrettante ragioni per prevedere che questa partita è tutt’altro che chiusa. Non a caso, il presidente neoeletto ha dedicato le sue prime parole all’unità del paese e alla conservazione ecologica e sociale dell’Amazzonia.

Lo stesso Biden navigherà tra Scilla e Cariddi. Dopo le affermazioni delle sinistre latinoamericane in Bolivia, Ecuador, Cile e Colombia, con possibilità loro di ulteriori convergenze in Argentina e Messico, e il consolidamento del regime castrista a Cuba e di Maduro in Venezuela, egli si vede costretto a dare il benvenuto a Lula il cui passato segnala una capacità di riforma economica e sociale non certo allineata con interessi tradizionali di marca statunitense.

Lula continuerà a perseguire una politica di unificazione del continente latinoamericano, attrezzandolo per un rapporto più equilibrato con qualsiasi governo insediato alla Casa Bianca. Soprattutto, ed è questa una dimensione a cui l’Europa dovrebbe prestare la massima attenzione, l’elezione del nuovo presidente riqualifica la convergenza dei paesi del c.d. Bric – Brasile, Russia, India, Cina – ispirati ad un multipolarismo in netta controtendenza rispetto alla tensione bipolare alimentata dalla guerra ucraina, subita dall’Europa e perseguita con ostilità connivente sia da Washington che da Mosca.

Né possiamo ignorare i profondi e duraturi legami di Lula con l’Italia e, soprattutto, con la sinistra sindacale italiana. Fin da quando l’ex operaio pianificò e realizzò il sindacato metalmeccanico che precedette la costituzione del Partito del Lavoratori, i primi appoggi gli furono offerti dall’Flm, per iniziativa del suo responsabile dei rapporti internazionali, Alberto Tridente, dirigente della Cisl, con cui instaurò un rapporto duraturo e fraterno.

Oggi Lula troverà a Roma un governo più consono a quello da lui appena sconfitto. Da parte nostra, occorre vigilare affinché non si stabiliscano indebite convergenze tra l’opposizione di Bolsonaro e il governo Meloni, oltre a trarre, ancora una volta, stimolo ed esempio politico dall’opera di governo di Lula, per un’Europa più unita ed indipendente.