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La viceministra albanese: «Non diventeremo un accampamento per migranti»

La viceministra albanese: «Non diventeremo un accampamento per migranti»Migranti salvati nel Canale della Manica – Ap

Intesa Londra-Tirana Il governo Johnson si ispira al modello australiano. L’Albania respinge la «fake news»: «L’oggetto dell’accordo sono innanzitutto i nostri cittadini, poi i cittadini dei Paesi terzi e quelli di transito»

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 23 novembre 2021

Sbattiamoli in Albania. È il brillante, forse un po’ concentrazionario, piano del ministero degli interni britannico per far fronte ai tentativi di sbarchi dei migranti attraverso il canale della Manica.

La notizia era trapelata sulla prima pagina del Times, quotidiano di Rupert Murdoch che si è ormai bello e pappato l’immeritato legato di rispettabilità di cui godeva presso i ceti medi globali. «I migranti saranno detenuti in Albania» recitava lo scoop, che sembra un titolo della prima guerra mondiale ma risale al 18 novembre scorso.

Tanto che la ministra degli Esteri albanese Olta Xhaçka replicava un attimo dopo con un tweet che bollava la sparata come fake news, deplorando lo scadimento qualitativo dell’ex illustre foglio nonché la cialtroneria. Ieri però la viceministra dell’Interno albanese, Andi Mahila, è tornata sull’argomento: «Il Paese non diventerà un luogo per l’accoglienza di massa dei migranti», «L’oggetto dell’accordo sono innanzitutto i cittadini albanesi, poi i cittadini dei Paesi terzi e quelli di transito», ha dichiarato.

Riavvolgimento veloce. La ministra degli interni del governo Johnson Priti Patel – evidentemente grata per le vicissitudini imperiali sofferte dalla sua famiglia, sballottata dall’India all’Uganda negli anni Sessanta – aveva giurato di «fare tutto il possibile per porre fine a questi pericolosi passaggi della Manica» adducendo naturalmente come scusa la sicurezza dei disperati che in tali passaggi si imbarcano, e non il terrore che la grettezza insularista di cui lei e il suo governo sono egregia espressione ne faccia dei capri politicamente espiatori. Patel guarda all’Australia, dove i migranti sono spediti su isole cinquemila chilometri lontane, infliggendogli quello che proprio i britannici avevano inflitto a loro stessi all’alba di quella nazione.

Gli è che i tentativi di ingresso sono in costante crescita, anche grazie alle temperature miti di quest’inesistente autunno. Quest’anno hanno tentato la traversata su pericolosissime barchette 23.500 persone, tre volte i circa 8.500 del 2020, che era già un record, e oltre dieci volte i numeri di quando Patel era assurta al dicastero. Il riscaldamento globale, climatico e bellico assieme, è senz’altro dietro quest’aumento, quando fino a un decennio fa i tentativi erano soprattutto attraverso disperati e spesso fatali nascondigli in autoarticolati e perfino l’elegante Eurostar.

Peggio che mai, i rapporti con la Francia, il paese trampolino verso il britannico eldorado della disperazione, sono ai minimi storici, con i recenti, isterici contenziosi sulla pesca andatisi a sovrapporre alle tensioni per detti sbarchi, che Londra considera dovuti al lassismo di Parigi e Parigi alla mancata promessa di Londra di «pagare per sbarrare», com’è lecito definire gli accordi finanziari dei due paesi sulla divisione delle spese di pattugliamento della Manica. Peraltro se il numero degli sbarchi è aumentato, quello delle richieste d’asilo, che il governo permette di compilare solo dopo essere arrivati qui e messi dentro centri coraggiosamente denominati di «accoglienza», sono diminuiti.

Ne è scaturita una serie di briefing governativi disperati: Boris Johnson sarebbe invelenito da queste cifre impietose, che naturalmente sono ancora risibili rispetto a quelle di altri paesi europei. Donde la pensata disperata di sbatterli in Albania, un paese, come l’Italia, che di queste cose ne intende. Addirittura ci sarebbero altri candidati pronti a lasciarsi corrompere dal soldo britannico, come il Ruanda.

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