La raccomandazione di Bruxelles è: sangue freddo. Di fronte all’impennata del prezzo del gas e al nuovo supplizio cinese imposto da Mosca, che ha annunciato un’altra “manutenzione” di tre giorni per il NordStream dal 31 agosto al 2 settembre (c’erano già stati 10 giorni di “manutenzione” dal 21 luglio scorso), la Ue cerca di restare unita e non cedere al panico.

Ma l’inverno si avvicina e l’incertezza regna. Il gas sfiora i 300 euro il megawattora al mercato di riferimento olandese e i prezzi dell’energia per il 2023 sono già alle stelle, le previsioni per i consumatori sono di 700 euro per la Germania, 840 per la Francia. Cifre insostenibili. E ogni paese cerca di correre ai ripari.

IL COMMISSARIO al Mercato unico, Thierry Breton, rassicura: gli stock di gas sono oggi al 76% (erano al 61% un anno fa nello stesso periodo), i paesi Ue possono reggere 50 giorni in caso di blocco totale di forniture russe. Ma non dice che gli stock coprono solo il 25-30% dei consumi, il resto viene dai flussi, che la Russia usa come arma.

La Ue a fine luglio ha varato un piano, che ora è messo alla prova ed entro fine ottobre dovranno essere presentati a Bruxelles i piani nazionali per il risparmio energetico: è previsto un calo, su base volontaria, di almeno il 15% dei consumi di gas in ogni paese tra il 1°agosto 2022 e il 31 marzo 2023.

In caso di penuria, il Consiglio può votare a maggioranza qualificata “lo stato di allerta” che impone l’obbligo della riduzione del 15% e fa scattare il meccanismo di solidarietà tra paesi Ue (ma molti frenano e cercano di esentarsi dagli obblighi, che andrebbero soprattutto a favore della Germania).

CI SONO in realtà molte deroghe: sono esclusi gli stati insulari (Cipro, Malta, Irlanda), come i Baltici, che dipendono al 100% dalla Russia per l’elettricità e che avrebbero quindi bisogno del gas per produrla in caso di blocco russo, mentre i paesi che sono riusciti a riempire gli stock oltre l’80% avranno obblighi di solidarietà ridotti. Deroghe anche per i paesi non interconnessi con i gasdotti (la penisola iberica), per tener conto dei limiti delle infrastrutture.

La Ue, che prima della guerra aveva una dipendenza del 40% dal gas russo, ha già ridotto la servitù: la Russia era il primo fornitore, ora è superata dalla Norvegia e dagli Usa, che forniscono Gnl (gas liquido) ad alto prezzo. Alcuni paesi, a cominciare da Spagna e Francia, hanno i terminal per il Gnl, mentre la Germania ne sta allestendo uno in tutta fretta.

La Ue ritiene che per la Russia il gas sia un’arma a doppio taglio: Mosca ha certo intascato 33 miliardi di euro grazie al gas negli ultimi mesi pur diminuendo le forniture all’Europa, ma la Ue resta il suo primo cliente, per esportare altrove ci vogliono gasdotti che oggi non ci sono (la Russia ha venduto 10 miliardi di metri cubi alla Cina, per esempio, contro i 150 miliardi alla Ue prima della guerra).

LA UE DA FINE 2019 aveva previsto un Green Deal per accelerare la transizione energetica e rispettare gli Accordi di Parigi sul clima per arrivare alla neutralità delle emissioni di Co2 nel 2050. Adesso, l’ecologia sta passando in secondo piano, di fronte ai rischi di proteste per il caro-energia e di un dilagare di gilet gialli.

Così, in ogni paese c’è la corsa a venire incontro ai consumatori, con bonus, riduzione dell’Iva, inviti alla “sobrietà”. Macron ha ingiunto ai francesi di «accettare il prezzo della libertà».

Con il caro-energia la recessione è alle porte. Le previsioni sono nere per l’industria, in prima linea in caso di penuria perché le famiglie e alcuni settori (come la sanità) sono protetti da eventuali tagli: un terzo dell’industria tedesca prevede già una riduzione della produzione quest’inverno.

Ma «l’industria europea è interdipendente – allerta la ministra francese della Transizione energetica, Agnès Pannier-Runacher – se la chimica tossisce in Germania allora tutta l’industria europea può fermarsi».